Finché non si è colpiti personalmente da un suicidio, generalmente si pensa che una persona che tenta il suicidio sia un “tipo” ben determinato.

Un solitario. Un codardo. Qualcuno comunque che, sicuramente, non riesce a “gestire” la vita.

Fino a quando crediamo in questo stereotipo, ci sembra che la prevenzione del suicidio non ci riguardi, e dato che si tratta di un argomento di cui parlare è difficile e penoso, in fin dei conti sia meglio lasciar perdere.

Purtroppo gli stereotipi crollano inesorabilmente quando si perde una persona cara. In quel momento non si tratta più di un “altro”, ma di qualcuno che conosci bene, di cui potresti descrivere interessi, stranezze, caratteristiche.

In quel momento capisci che non esiste un “tipo” particolare di persona che tenta di uccidersi, e che chiunque può cadere nella malattia mentale o nelle tante altre situazioni che possono portare al suicidio.

Per questo, in collaborazione con l’Associazione A.M.A. Ceprano OdV, in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio, abbiamo pensato di chiedere a dei “sopravvissuti” al suicidio di un loro caro cosa vorrebbero far sapere al mondo della persona che hanno perso.

Vogliamo restituire un volto umano a questi nostri cari, perché diventi sempre più evidente che la prevenzione del suicidio è una urgenza che riguarda tutti, contro ogni stigma e pregiudizio.

Se hai bisogno di aiuto, o conosci qualcuno che può aver bisogno di aiuto, puoi contattare gratuitamente i volontari di Telefono Amico Italia, al numero 0223272327 dalle 10 alle 24 o via WA o via email, o di altre associazioni come Samaritans, al numero 0677208977 dalle 13 alle 22. Per bambini o minori ti segnaliamo il servizio Lucy dell’ospedale Bambin Gesù, o la linea di ascolto di Telefono Azzurro al numero 19696 h24, 7 giorni su 7.
Considera anche l’idea di consultare un professionista della salute mentale, contattando il Centro di Salute Mentale della tua ASL di riferimento, o cercando un professionista privato.
Se c’è un pericolo immediato per altri o per te stesso chiama subito il 112.

Grazie per essere qui per leggere queste storie.

Ecco cosa ci hanno raccontato:

1.

Giorni fa leggevo che “i suicidi sono persone particolarmente sensibili, che vedono la realtà spesso meglio degli altri, senza però avere la fede.” Non so se mio padre, che tentò il suicidio e che venne ricoverato per un mese nel reparto psichiatrico e che quando imboccammo la solita strada verso casa si mise a scrutare il tragitto a mo’ di esule in terra straniera (e me lo fece capire!), non so-dicevo-se lui avesse o no la fede. So che, un mese prima di morire di morte “naturale”, vent’anni dopo quel tentativo fallito, non fui in grado di rispondere ad una conoscente che mi chiese di lui come padre. Non ci riuscii perché ero convinta e, lo sono tutt’ora, che tutte le definizioni, tutte le etichette avrebbero tarpato le ali al nostro immenso affetto e all’umano che ci accomunava e che accomuna tutti. La sola e unica certezza che meriterebbe di essere approfondita e narrata: suicidi, tentati suicidi e non.

2.

Federico: solare, amico di tutti, buono, altruista, bello, alto, coraggioso, sicuro di sé, nessuno mai avrebbe pensato che un pomeriggio di maggio, a 21 anni, potesse decidere di lasciarci, eppure lo ha fatto.

3.

Lo chiamavo il mio piccolo grande guerriero. Non ho capito quanto grande fosse la sua battaglia. Mio figlio mi ha donato la vita, con la sua passione, il suo amare chi gli stava accanto e il suo saper avvicinarsi a chi soffriva. Mi ha donato la vita con i suoi vuoti, profondissimi, le sue domande, troppe e tutte senza risposta. Non so cosa tu abbia trovato ora, ma grazie amore mio, grazie di esserci stato.

4.

Forse per cercare di indorare la pillola, ma soprattutto per non nominare mai la parola maledetta, quando chiedono come sia morto mio figlio, spesso rispondo molto ipocritamente che è stata una sua scelta. A distanza di tanti anni posso affermare con convinzione che nessuno sceglie di morire. Vedete, noi siamo abituati a vedere la vita come un diagramma piatto a 180° dove all’estrema sinistra vi è luce pura ovvero la felicità è dall’altro lato il nero, la morte. A nessuno è mai capitato di pensare che oltre i centottanta gradi possa esservi qualcosa d’altro? La depressione, la vergogna profonda, la consapevolezza di non farcela mai, la malattia? Quindi, ritornare a 180° cosa significa? Facciamo nostre le parole di Raffaele: ” invidio i malati terminali di tumore perché loro almeno hanno una flebo di chemio da farsi; noi nemmeno quella”.

5.

Simone, quest’anno, il 21 ottobre 2022, avrebbe compiuto 50. Simo era, bello, sorridente, con una simpatia spiccata, romantico e innamorato della sua compagna e dei suoi figli, responsabile e appassionato del suo lavoro di rappresentante di commercio. Simone ha visto crollare il suo sogno e non accettava la fine del suo rapporto di coppia, la separazione dai bambini; poi però lui ha abbandonato tutto, la famiglia che tanto amava, la sua giovane vita. Mi ha fatto molto male, l’ho giudicato per anni; questi tratti caratteriali di responsabilità/severità/rigore nell’affrontare la vita, forse glieli ho trasmessi proprio io, sono tratti anche miei. Ora sto capendo, credo di capirlo un po’ di più attraverso il dolore che ho provato, che provo, che mi ha attanagliato il cuore, annebbiato la mente, intaccato l’autostima!!! Ho vissuto e ancora a volte vivo la frustrazione del fallimento come madre. Forse Simone ha sentito la stessa cosa; Simo non era solo il buio che l’ha inghiottito, era molto di più, era il mio orgoglio, un bellissimo giovane uomo di 44 anni.

6.

Rientrare a casa e sapere che c’eri tu ad accogliermi con il tuo “Hei” e il tuo immancabile sorriso era sempre rasserenante, così come il “Ciao pa’ ” quando ci salutavamo di nuovo.

Amavo la tua originalità, la tua discrezione nei rapporti, il tuo essere anticonformista così spontaneamente; la tua musicalità nel suonare il piano e la passione per la musica, specialmente De Andrè, il Boss e soprattutto Bach il tuo preferito. E poi la lettura, eri instancabile, e la montagna: più i sentieri erano impervi e difficili e più eri contento di affrontarli.

Enrico non ho ancora capito cosa sia successo ma so che ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre.

7.

Non sorrideva. Non sorrideva da molto tempo, ma abbiamo sempre pensato fosse solo un ragazzo introverso. L’ultima volta che l’ho visto era Natale e ha dormito per tutto il giorno. Ho scoperto solo dopo che aveva preso sonniferi per non vivere con noi, la sua famiglia, quella giornata di festa. Se ne voleva andare da noi, la sua famiglia, ma invece di cambiare città si è tolto la vita. Aveva solo 20 anni e non sorrideva. Non sorrideva da molto tempo.

Mi manca. Mi manca perchè è stato la prima gioia della mia vita a 17 anni, quando l’ho preso in braccio per la prima volta. Mi manca perchè è stato il più grande dolore della mia vita a 40 anni, quando l’ho visto dietro quel vetro con gli occhi chiusi e un piccolo sorriso sulle labbra.

Urlava in silenzio il suo dolore, e nessuno lo sentiva.

Antonio aveva solo 20 anni e non sorrideva da molto tempo.

8.

Ricordo ancora, quando guardandoti allo specchio mi hai chiesto :  “Che dici mamma sarò calvo come papà fra qualche anno?”  Eri cosi attento alla tua  capigliatura che, nonostante i tuoi capelli fossero lunghi non più di 1 cm, usavi litri di balsamo e di shampoo. Ed io mi chiedevo a cosa servisse considerando la lunghezza .

Oggi non voglio nemmeno immaginare come saresti, ma voglio viverti nell’amore che ci hai lasciato.

Normalmente sono i genitori, o le persone con un lungo vissuto, a dare degli insegnamenti per la vita, ma tu ne hai lasciati tanti a noi, e pur vivendo al limite in modo bizzarro e astratto hai sempre amato la vita nelle sue mille forme con estrema libertà e sincerità.

Non sei mai sceso a compromessi e questo ti ha portato a pensare che questo mondo non ti appartenesse, troppo stretto per i tuoi pensieri.

Parte di quello che siamo oggi, lo dobbiamo a te.

Grazie che dall’alto orchestri la musica del nostro cuore.

9.

Sono Luis,
Ho Trascorso La Serata Con Gli Amici E Sono Tornato A Casa.
Percorro Il Corridoio Per Recarmi Nella Mia Stanza.
Faccio Piano, Dormono.
Ora Sono Davanti Alla Loro Stanza.
Mi Fermo, Mi Affaccio, Li Guardo Stesi, Sto Lì Qualche Secondo.
Sono Titubante, Aspetto E Poi No, Non Resisto.
Alcuni Passi, Silenzioso, Verso Mia Madre.
Un Bacio Leggero Come Un Soffio, Fra I Capelli, Una Carezza Impercettibile A Lisciarglieli.
Aspetta Il Mio Bacio, Sente Tirare Quel Fine Capello Che Si E’ Impigliato Fra Le Mie Dita.
Ogni Sera. Anche Adesso.
Non Posso Non Farlo, Non Resisto.

10.

Mio figlio Livio 10 anni fa, all’età di 16 anni si toglie la vita. Mi riferisco spesso ad alcune sue frasi, prese dai suoi ultimi temi, per trasmettere ciò in cui credeva veramente e da cui è stato tradito:

“Per me l ‘AMICIZIA è tutto questo messo insieme : ONESTÀ, GENEROSITÀ, GRATITUDINE, AMORE”
“L’impulso a viaggiare è ciò che fonda le civiltà e ci caratterizza di più come esseri umani, ricordando che il viaggio più grande di tutti è la VITA.”


Questo è lui, e a noi ha lasciato il compito di portare avanti i suoi pensieri, affinché possano dare speranza ai tanti ragazzi che sentono di non farcela.

11.

Gianmarco era un ragazzo bellissimo con degli occhi luminosi e sempre sorridenti
Era simpatico e socievole, laureato in ingegneria.
Gli amici universitari lo avevano soprannominato IL CAPITANO perché era sempre il primo ad organizzare per tutti.
Quando tornava a casa per le vacanze amava passare del tempo con i nonni e le serate con i cugini e gli amici.
Era molto affettuoso sempre pronto a consolarti con i suoi abbracci e disponibile con chiunque avesse bisogno del suo aiuto…aiuto di cui avrebbe avuto bisogno lui più volte perché purtroppo Gianmarco non era mai contento di se stesso.
Metteva in discussione sempre tutto ciò che faceva e diceva perché si sentiva sbagliato.
Gli bastava anche solo un mancato saluto per farlo rientrare in quel grande e maledetto buco nero che ce l’ha portato via.

12.

Stava cercando il suo posto nel mondo. Era stato a Londra e a Melbourne per lavorare e per vivere. Ogni volta tornava in Italia; ne aveva rimpianto e desiderio quando era lontano. Ma quando era qui lasciava trasparire il suo disagio, le sue aspettative disattese, la sua delusione. Era tornato da meno di un anno e già stava pensando di ripartire per andare in Giappone.
Una bella domenica mattina di inizio settembre, Niccolò ha deciso di fare un viaggio senza ritorno, volando giù. Ha lasciato, con grande senso civico, i lampeggianti accesi, il cellulare e la patente in auto.
Avrebbe potuto chiedere aiuto ma non l’ha fatto. Era sempre disponibile ad ascoltare e ad aiutare i suoi amici; non parlava mai dei suoi problemi e del suo dolore che teneva ben nascosto. Solo dopo ho capito, abbiamo capito, quanto fosse profondo.
Tuttavia, non voglio ricordarlo per il suo ultimo gesto. Era un figlio affettuoso, un ragazzo bello, intelligente e sensibile che amava la vita, a volte saggio, spesso troppo impulsivo. Sapeva di essere amato ma forse non lo ha ricordato in quel momento o forse non gli è bastato. Forse ha scoperto che nel mondo non esisteva un posto per lui.

Non potrò mai sapere perché.

13.

Il 26 aprile di un anno fa, ho perso mio figlio Matteo di 18 anni. Solo dopo due giorni, accedendo al suo PC, abbiamo capito che si era tolto la vita.

Matteo non ci dava preoccupazioni, Matteo era un’idea di futuro.

Dinamico e pieno di progetti: la patente in cui aveva bruciato i tempi, un lavoro estivo, le prime vacanze da maggiorenne, le avventure che metteva in atto con il suo migliore amico, l’idea di proseguire gli studi di informatica a Trento. Era un bel ragazzo, di cultura vasta e dai molteplici interessi. Focalizzato sulla razionalità, la scienza, la geografia, la musica e soprattutto i libri ed i grandi autori.

Matteo amava leggere:  Murakami, Dostoevskij, Marquez, Buzzati, Hemingway, Melville, Bulgakov, Sartre. Matteo amava mangiare sushi, si divertiva a fare origami, era molto razionale e attento agli altri. Matteo era un ragazzo di una intelligenza vivace e curiosa, sensibile e profondo,  probabilmente fragile, ma certamente non debole. Andava alla ricerca del senso delle cose cercando anche la spiegazione per ciò che la mente non può spiegare.

Tutto questo gli permetteva di affrontare qualsiasi argomento, di essere uno stimolo continuo, una persona con cui era piacevole stare e dialogare.

Matteo era un ragazzo che amava il mare e la sua profondità, amava sfidare il vuoto nei tuffi ed in montagna nelle ferrate. Matteo sapeva farsi volere bene, sapeva dire ti voglio bene e aveva saputo progettare il suo futuro, ma ha scelto di non viverlo.

Matteo era ed è profondamente amato.

Negli scritti trovati sul PC, lui stesso scrive: “Tutto nella mia vita è felice”.

Ed allora? Questo è ciò che ci manca, malgrado le sue citazioni, i suoi ragionamenti, il suo disagio intellettuale, le sue apparentemente esaurienti spiegazioni.

Perché?

14.

Solo quando si vive un suicidio da molto vicino si può capire come ci si sente. Si capisce soprattutto che non c’è solo un prototipo di persona che va incontro a questa tragica fine ma tutti possiamo finire dentro a quel tunnel dal quale non si vede la luce. Ricordo il mio fratellino come un ragazzo spensierato, sereno, di compagnia. Quello che la perdita di mio fratello mi ha insegnato è che bisognerebbe imparare ad osservare le persone, ad ascoltarle, a non attribuire un semplice sorriso a spensieratezza e felicità, purtroppo oltre alla punta dell’iceberg c’è molto altro.

15.

Anche io avevo una visione distorta del suicidio fino a quando non si è suicidato il mio amatissimo figlio di soli 17 anni. Era l’ultimo della lista che io reputavo potesse fare un gesto simile.

Era onorevole e perbene, grande maestro di vita.

Sempre con il sorriso e la battuta pronta. Amava la vita in modo contagioso. Eppure lo ha fatto , eppure è successo.

Quando si concatenano fatti e non si ha la forza di reagire.

Basta un attimo.

Ho capito sulla mia pelle che il suicidio non è prerogativa solo di persone depresse, sfortunate o disagiate. Il suicidio è un pensiero al quale la nostra mente può volgersi almeno una volta nella vita. Intervengono poi fatti che inducono a farlo oppure no.

Basta un attimo.

16.

Siamo Maria e Salvatore, genitori di Antonio, figlio unico, che ha posto fine alla sua vita il 14 Luglio 2020, all’età di anni 26.

Laureato in psicologia, a breve avrebbe concluso il suo percorso universitario per diventare psicoterapeuta. Oltre ad essere uno studente modello con diverse borse di studio,  faceva anche da tutore agli altri studenti.

Antonio ci piace ricordarlo così: empatico, altruista, ma soprattutto aveva il dono dell’ascolto. 

Di se stesso non parlava mai, ma voleva sempre ascoltare gli altri ed aiutarli.

17.

Non sapevo che Antonella stesse male fino a quando non ricevetti quell’ultimo suo messaggio. 

Sapevo che non andava bene a scuola. Era il suo primo anno al liceo classico ma sapevo che aveva grandi progetti per il suo futuro: la politica o l’entomologia. 

Sapevo che amava leggere e amava il teatro sia da spettatrice che da attrice e amava la musica quella che “vuole dire qualcosa, e che non parla di amore” 

Sapevo che amava festeggiare il suo compleanno con gli zii e i nonni.

Amava aiutare gli altri, ascoltare i loro racconti e i loro problemi ma non sapeva, o non voleva, raccontare se stessa. 

Io pensavo non avesse nulla da dirmi di se, ed invece si preoccupava di non dire nulla per non deludermi o togliermi il sorriso. 

Antonella si preoccupava sempre per gli altri e cercava qualcuno che si preoccupasse per lei. Pensava però che non ci sarebbe mai stato. Aveva fretta. Antonella doveva aspettare, aveva tanta vita davanti. Mancavano solo 10 giorni al suo 14esimo compleanno e avremmo festeggiato come voleva lei con la famiglia, avevamo comprato insieme le formine per i biscotti a forma di farfalla ed insetto.

“Sono brutta” mi diceva.

“Ma che dici Anto tu sei bellissima.” 

“Mamma è normale che per te sono bella, sono tua figlia”.

Antonella aveva bisogno di un altro sguardo che l’accogliesse semplicemente per quello che era.

18.

Io sono il papà di Giovanni, da noi famigliari affettuosamente soprannominato Giò, un giovane di 34 anni che tre anni fa, esattamente l’11 maggio 2019, ha deciso di interrompere la sua esistenza terrena.

Giò restaurava mobili, più che un lavoro una passione, come tante altre, quali la musica, la fotografia, l’informatica, i viaggi.

Più volte aveva detto in maniera esplicita che non accettava di dover convivere con la forte depressione provocata dal disturbo bipolare, alternata a brevi periodi di umore positivo. Quel disturbo si è manifestato alla fine del 2008 quando studiava fisica a L’Aquila, con risultati davvero brillanti, dove viveva con la sua compagna di allora ed il suo adorato piccolo schnauzer Argo, trovato abbandonato in montagna, appena nato.

Avrei mille altri ricordi da far rivivere, come immagino potrebbero fare tutti coloro che hanno perso nelle medesime circostanze una persona cara.

Mi resta soprattutto il ricordo bellissimo di quando l’ho abbracciato per la prima volta, appena venuto al mondo, il 24 maggio dell’84, la stessa gioia indescrivibile che ho provato cinque anni più tardi, il 24 giugno ’89, quando ho potuto baciare la sorella.

19.

…ma’ – dicevi entrando in casa
e la tua presenza mi riempiva il cuore
così come i tuoi abbracci forti
così come i bigliettini affettuosi che mi lasciavi per casa
così come i tuoi sguardi duri
di quando un dolore profondo cominciava a farsi strada in te
per lasciare spazio poi ancora a momenti straordinari
perché niente in te
era ordinario

20.

“Fino a che non ti rendi conto di essere consapevole non sei cosciente della vita! Ti fai domande, cerchi risposte, esplori te stesso e gli altri, ma non riesci a capire. Vivi i tuoi momenti di grazia ed i tuoi tormenti senza sapere dove sei. Una certezza però ce l’hai: sei vivo, forse ancora per poco, però lo sei in quel momento. Ma se continui a vivere per molto tempo senza un ideale, la vita ti porrà prima o poi in una condizione tale per cui si affaccerà il barlume della paura, dell’angoscia, della consapevolezza che tutto è fugace e armoniosamente triste. (Alessandra 30/12/97 Palermo)”


Avevi 19 anni quando hai scritto questo pensiero in un diario di scuola. Insistevi sulle parole che evocano la vita. La tua malinconia. La corsa senza tempo per stringere in un abbraccio continuo chiunque. Qualunque cosa. “Omnia munda mundis”. Scrivevi anche. “Tutto è puro per i puri”.

Il tormento, quanto la grazia.

La fallibilità quanto la salvezza.

Tutto. Anche il sacrificio di caricarsi sulle spalle l’intera sofferenza dello stare al mondo. Pesante come tutto il mondo. Ma ogni sacrificio non è purificatore. Mai. Non libera e non riscatta niente. Solo dolore per dolore. È ingiusto e basta. Sempre.

E questo lo sapevi bene anche tu, hai ragione. Ma ora?
Ti befferesti di queste domande esistenziali, lo so.

La ragione? Ce la mangiamo “squarata”. Mi diresti ridendo. In pratica. Ce la gustiamo come un piatto di pasta asciutta scotta…

21.

Cosa scrivere di Raffaele, se non che era un ragazzo sensibile, pieno di vita e di voglia di essere felice, felicità che la vita gli ha negato.

Non so esattamente quali siano state le delusioni che lo hanno fatto sprofondare di nuovo nel baratro della depressione, ma so con certezza che non amava l’ipocrisia che purtroppo spesso oggi s’incontra nella nostra società, una società che spesso promette, ma poi non dà.

Era intelligente, brillante e ironico e fino ai 18 anni non vi erano stati problemi, poi la depressione, la sconfitta di essa, la rinascita, l’impegno di aiutare gli altri attraverso la sua esperienza a superare la bestia oscura della depressione, il sogno di poter vivere dedicandosi alla sua passione: scrivere, sogno purtroppo infranto.

Le parole che spesso mi ripeteva erano: mamma, non devi giudicare, devi cercare di capire.

Ecco, lui sapeva ascoltare e sapeva capire e questa sua eccessiva sensibilità lo portava a percepire non solo il bene, ma anche il male. Amava sentirsi libero di poter decidere della sua vita e della sua morte. Spesso mi diceva che ognuno deve poter avere la libertà di morire quando il dolore che prova è così forte da non essere sopportabile.

Come alleviare questo dolore che devasta l’animo di tanti giovani? L’unica arma che abbiamo è l’amore e l’impegno a costruire una società più vera e più giusta, una società che sappia ascoltare e capire e non solo giudicare.

Non bisogna aver paura di abbracciare i nostri figli, anche se ormai sono degli uomini. A me rimane il rimpianto di non aver abbracciato abbastanza mio figlio, oramai un uomo, per fargli sentire il mio amore e colmare il vuoto che il dolore aveva scavato nel suo cuore.

Perdonami Raffy per non aver capito che in quei momenti avevi bisogno del calore di un abbraccio in più.

22.

Luigi amore mio sono trascorsi 17 anni e se ci penso sembra ieri.

Ho dei flash di te, tu che giocavi sotto il tavolino per starmi accanto, tu con la mia macchinetta fotografica, o con il pallone sempre pronto.

Timido, riservato, sensibile ma gioioso, disponibile e affettuoso con i tuoi amici più stretti. 

Il tuo sorriso nella mia mente e la tua voce nel cuore che mi chiama “Ma”.

23.

VENERDI’ 24
In quel preciso istante
in cui tu chiudevi gli occhi
e ti dimenticavi di essere vivo
e ti dimenticavi del mondo intero
e ti dimenticavi anche di me
In quel preciso, immobile istante
io dov’ero?

Spesso mi affaccio alla finestra di mio figlio e immagino l’attimo in cui si è buttato giù, a 18 anni, l’età più bella gli dicevo io.

Era un ragazzo molto intelligente, sensibile, dai modi gentili. Era simpatico e spiritoso, generoso e leale con gli amici, affettuoso con la sorellina. Era il mio amore grande.

Il suo suicidio resta incomprensibile e assurdo per me, e la mia mente è sempre là a quel giorno, a quell’attimo in cui le nostre vite si sono spezzate.

24.

La telefonata che mai nella vita mi sarei neanche lontanamente immaginata due mesi fa.


Bello, forte, sempre sorridente, ambizioso, zio divertente per mia figlia.


Non ho colto nessun segnale, sembravi felice ed innamorato della vita.
Inspiegabile ed inaccettabile, rimane il tuo suicidio.
Ciao fratellone.

25.

Mio figlio, il mio unico bellissimo figlio Simone, si è tolto la vita due mesi fa. È il dolore più devastante che si possa provare. Sono ancora nella fase dell’incredulità, non riesco a credere che sia successo davvero.
Lui odiava il caldo e ha scelto di andarsene una domenica d’estate caldissima. Un ragazzo riservato, sensibile e intelligente.

Amava leggere e studiare lingue come autodidatta.

Simone mi dispiace di non essere riuscita ad aiutarti, mi dispiace di non averti detto le cose giuste e di averti detto quelle sbagliate, mi dispiace di non aver capito.
Mi dispiace che ti sentissi solo.
Il mio amore per te non è bastato.
Vorrei tornare indietro nel tempo e fare tante cose diversamente.
Mi manchi ogni giorno di più.
Mi auguro che un giorno avremo un’altra occasione di stare insieme in un’ esperienza gioiosa.
Ti voglio bene Simone, ti abbraccio e ti mando il mio Amore ovunque tu sia ❤ Mamma.


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Considera anche l’idea di consultare un professionista della salute mentale, contattando il Centro di Salute Mentale della tua ASL di riferimento, o cercando un professionista privato.
Se c’è un pericolo immediato per altri o per te stesso chiama subito il 112.



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