“Nel 2021 abbiamo messo giù una lista delle frasi che ci hanno rivolto dopo la morte di Antonella, e scritto quel che ne pensavamo (e ne pensiamo tuttora). Le lasciamo qui perché forse le nostre considerazioni potrebbero essere utili a chi si trova nella poco invidiabile condizione di conoscere una persona in lutto per suicidio, o per qualsiasi altro motivo.”
Domenico e Angela


(4 Giugno 2021)

Dopo tre anni e mezzo dalla morte di Antonella, vorremmo mettere in ordine un po’ di frasi che ci sono state dette, e che non ci hanno aiutato. Intendiamoci, siamo sicurissimi che ognuna di queste è sempre stata detta con le migliori intenzioni. Quasi sempre dai.

Però forse c’è bisogno di una indicazione, di un “feedback”, perché se è vero che come ci è stato detto mille volte, “non ci sono parole”, però purtroppo non si può non comunicare. Lo si fa con il linguaggio, e quindi dopo la premessa “non ci sono parole” si inizia a parlare ugualmente (!!), oppure davvero si rimane in silenzio, e anche il silenzio comunica.

Ovviamente, non c’è bisogno (forse) di dirlo, questa è la nostra esperienza, non è un trattato di psicologia. L’abbiamo scritta insieme, spesso il soggetto (e pure l’oggetto) cambia, ma abbiamo pensato di lasciarla così. Vorrebbe, nelle nostre intenzioni, essere una finestra su come una persona che ha subito un violento KO percepisce delle frasi piuttosto comuni, e quindi non c’è alcun giudizio esplicito o implicito su chi ha detto quelle frasi. Ma sulle frasi si!

Tra l’altro non è per nulla vero che noi, conoscendole fin troppo bene, siamo diventati bravissimi a non dirle: c’è una bella differenza tra sapere ed applicare. Purtroppo “vengono spontanee” in molte situazioni.

Speriamo non ne abbiate mai bisogno, ma purtroppo “shit happens” (trad. “la vita è piena di imprevisti” 🙂 ), nel caso magari potrebbe esservi di aiuto, chi lo sa, con qualche vostro amico e parente. Oltre che con noi da ora in avanti, magari.

Indice

Pensavo di trovarti peggio / Ti sei ripreso bene!

Cioè? In che senso? Dovevo strapparmi i capelli e girare per le strade urlando? Oppure pensavi di trovarmi con indosso una maglietta lorda e una gonna sbrindellata? Ecco magari anche no. Con estrema fatica, che è tanto più grande quanto più recente è il lutto, ma che certo non scompare con il tempo, cerco di tenermi in ordine e non far pesare ad altri il mio dolore al primo sguardo.

Ah, e non mi sono “ripresa”, non ci si riprende. Si cambia per sempre, e mi dispiace moltissimo che tu pensi che mi possa “riprendere”, come ci si riprende da una influenza. Il massimo a cui posso ambire è riuscire ad andare avanti nonostante quel che è successo, e chissà anche a migliorarmi, ma certo non a tornare come prima.

Tanto tu sei forte

Curiosamente a me nessuno lo ha mai detto, ma questa frase ricorre spesso nei racconti di Angela. Ed è una di quelle frasi che fa davvero, davvero male. Perché è una svalutazione di quel che stai vivendo, è percepita come: “dai non lamentarti/non rompere, tanto sei forte, parliamo d’altro”. Oppure come “Sei forte, non hai bisogno di me”, nel qual caso non solo è una svalutazione ma anche un alibi per scomparire.

Anche in questo caso immagino che – volendo credere nell’innocenza fino a prova contraria – l’intento sia di incoraggiare, ma NO, non lo stai facendo bene.

Riconoscere la fragilità (che è di tutti!), darle dignità e cittadinanza, permetterne l’espressione libera: questo, si, è incoraggiamento.

Sono a disposizione, chiamami quando vuoi

No, non ti chiamerò. Perché chi ha subito un lutto, e in particolare un lutto per suicidio, si sente portatore per-nulla-sano di dolore. Come diceva Anto ti sembra di essere contagioso. Non ti chiamerò perché non vorrò disturbarti, non voglio portarti dentro questo incubo. Mi sento in colpa per quel che è successo, mi sembra di avere una specie di bersaglio sulla fronte, e figurati se devo angustiare anche te. Chissà, forse in seguito, con il tempo. Forse.

Se davvero vuoi essere d’aiuto, chiama tu. Anche solo per dire “ciao, cosa stai facendo?”. O per portare qualcosa di pronto da mangiare, se si tratta dei primi mesi, o organizzare una uscita in pizzeria. C’è il rischio concreto che ti dica di no, ma quel gesto resterà nel cuore e farà la differenza.
Ricorderemo sempre con una gratitudine IMMENSA la famiglia che ci ha accolto per i primi mesi tutti i Sabato sera (tutti!), intuendo che il fine settimana era un momento molto critico, e condividendo semplicemente un po’ di tempo e la cena.

E NO, non serve dire:

Ti penso tanto anche se non ti chiamo mai, sai ti osservo da lontano

Come dovrebbe essermi di aiuto questa cosa? Riconosco la gentilezza dietro questa frase, ma poi quando torno a casa mi assale la rabbia: una delle sofferenze del lutto (e soprattutto di questo) consiste nello sentirsi irrimediabilmente soli, e se davvero mi pensi, perché non fai quel primo passo e mi chiami? Mandami un messaggio se la telefonata ti spaventa, è molto meglio del silenzio.

Tranquilla poi passa

Non vorrei rovinare la tua rosea visione del mondo ma NO, non passa. Forse la tempesta si placa, ma c’è un dolore che non va più via, e quando le condizioni lo consentono riprende forza e ti riporta indietro al primo giorno. Basta un compleanno, una musica, una foto. Un niente.

Ma poi chiediti: cosa volevi dirmi con questa frase? Di non dare peso a quel che provo perché poi passa? Lo vedi che siamo di nuovo nella svalutazione di quel che sento? Ad una persona in ospedale dopo un incidente, che soffre per l’amputazione di una gamba, diresti mai “Piantala dai, poi passa?”. Sembreresti un insensibile, e anche leggermente fuori di testa, non è vero?
Ed è proprio così che sei sembrato a noi.
Insomma diamo vera dignità alla sofferenza interiore!


Andrà sempre peggio

Non passiamo però da un eccesso all’altro! 🙂


Devi proprio sentire cosa è capitato a me / amiocuggino / a mio zio!!

Facciamo un’altra volta, eh? Se ti sto raccontando qualcosa di estremamente doloroso, probabilmente sto facendo una enorme fatica, e sono grato che tu mi stia ascoltando. Ma se ad un certo punto inizi a parlare di te mi disorienti completamente, sembra che tu mi voglia allontanare.

Purtroppo siamo tutti (tutti!) abituati a questo tipo di conversazione, tant’è che chi per lavoro o per volontariato ascolta altre persone deve “disimpararlo”.
Tu mi parli di te, io velocemente mentre parli ti ascolto con un orecchio mentre cerco nelle mie esperienze qualsiasi cosa che assomigli anche vagamente a quel che mi hai raccontato, e al tuo primo prender fiato esordisco con un “Io invece/anche io/mio padre ecc ecc.”.

Magari sei davvero convinto che quel che ha vissuto la tua anziana parente bretone (cit.) mi possa essere estremamente utile, ma sai qual è l’impressione? Che non vedi l’ora di distogliere l’attenzione da quel che ti sto dicendo, perché è troppo difficile ascoltarlo, perché non vuoi ascoltarlo. Probabilmente la prossima volta ci penserò molto bene prima di aprirmi con te, ammesso che ci sia una prossima volta.

Ci sono gli altri tuoi figli no?

Pensi me lo sia dimenticato? In che modo questo dovrebbe consolarmi? Così come quando è nato Paolo certo l’amore per Antonella non è diminuito, così adesso la presenza di Paolo non diminuisce l’amore e il dolore per Antonella. E posso affermare con una certa sicurezza che questo vale per qualsiasi grado di parentela.

L’intenzione, forse, è relativizzare per aiutare, quel che arriva è uno sminuire quel che sento (un’altra volta). Relativizzare nell’intensità o nel tempo NON SERVE!

Un giorno la incontrerai di nuovo, vieni con me in chiesa/pagoda/moschea!

Davanti ad un suicidio succede spesso, non sempre ovviamente, che la fede in un Dio che ci guarda benevolo sulla sua nuvoletta vada persa irrimediabilmente. Meno male che è benevolo, pensa se gli stavamo sulle scatole. Nel mio caso già non c’era prima, nel caso di Angela una bella botta è stata data da quel celebrante che durante una messa l’ha rimproverata, a pochi mesi dalla morte di Antonella, perché piangeva. Eh si, doveva essere felice, o fare la faccia felice per non disturbare, chissà. Torniamo ancora al fatto che la sofferenza non la vogliamo vedere. Mai.

Detto questo sono convinto di non sapere abbastanza per escludere categoricamente che davvero succederà, anche se ci credo poco. Certo è però che questa speranza, non mi fa sentire meglio, e anche questa frase mi appare come la ricerca di una consolazione “facile” per spostare il discorso altrove, via da questo momento.

Scusa se parlo di Antonella (dei miei figli/nipoti), e ti ricordo il tuo dolore

Ehi, guarda che non è che io torni a casa e chiami “Antonellaaaa… ah no”. Non c’è nessun bisogno di scusarsi per avermela ricordata, perché non c’è istante in cui la sua assenza non mi sia molto ben presente. Invece sapere che ricordi Antonella, che ne vuoi parlare, e che anche tu ne senti la mancanza non può che essermi di conforto. Così come sono felice di sentire parlare dei tuoi ragazzi.

Non ti parlo dei miei problemi perché di fronte ai tuoi sono nulla.

Devo essermi perso il momento in cui abbiamo deciso di gareggiare a chi ha il dolore più grosso…

Non è mai una gara, non c’è una scala assoluta del dolore, un pratico “dolorimetro” da acquistare in Farmacia o all’ipermercato se vuoi risparmiare, e che se supera una certa misurazione ti permette di lamentarti.

Se una cosa ti fa stare male allora è un problema, è il tuo problema, e se posso aiutarti ascoltandoti ne sono felice. Ehm…magari non quando ti sto parlando di me (vedi il punto 6).

Se però mi consideri il vincitore di questa strana gara, al quale quindi non si può parlare, mi fai sentire una specie di alieno, per di più inutile. Quindi ti prego, trattami come mi trattavi “prima”, è vero sono cambiato ma in fondo, anche se senza un pezzo, sono sempre io. Ok, più o meno.

Ma allora non posso dire niente!!

No, non è vero.

Non puoi dire parole di consolazione, non puoi dare una soluzione, non puoi sminuire e relativizzare. Non ci sono parole di nessun tipo che possano consolare, non c’è alcuna soluzione, niente che possa farmi sembrare più sopportabile quanto successo. Questa è una cosa difficile da accettare per tutti: quando qualcuno ci confida un suo dolore ci mettiamo subito alla ricerca di qualcosa da dire per migliorare la situazione. Ma, e in questo caso specialmente, non sempre si può. Anzi nella mia esperienza quasi mai.

Tratta invece la persona in lutto come hai sempre fatto, non cercare di dare soluzioni o consolazioni, ascolta senza giudicare, condividi un po’ di tempo insieme. Soprattutto questo: il tempo, esserci, è l’unica cosa che serve.

Non dico sia facile, potrò anche sembrarti freddo ed irriconoscente, ma i momenti insieme sono tutto quel che mi sostiene. Se ci tieni questo è quel che puoi fare. Se poi non ci tieni… perché hai letto ‘sto papiro? 😀

Beh, ora lo sapete anche voi, o vi abbiamo rinfrescato la memoria se già sapevate tutto. Facciamone buon uso.

P.S.

C’è un video, che usiamo a volte nei nostri incontri che racconta molto bene l’empatia. Prenditi due minuti per vederlo.