Secondaria di Primo Grado

Sezione Letteraria:

1-Io amo il mare
2-Notte prima degli esami
3-La solitudine

Sezione Multimediale

1-In segno di amicizia
2-Il diario di Mauro. Storia breve di bullismo…
3-Tutti i colori del mondo

Secondaria di Secondo Grado

Sezione Letteraria:

1-Esisto nei vostri sguardi
2-Il piacere di piacersi
3-Chiunque

Sezione Multimediale:

1-Fiori: fascino ed allergia
2-Devo riuscire a farmi accettare…
3-Un mondo in bianco e nero


Io amo il mare

A.- Io sono Antonella.

G.- Io sono Gaia.

A.- Amo leggere diversi generi.

G.- Amo leggere libri riguardanti lo sport.

A.- Amo la musica.

G.-Anche io… ho le note musicali sulla testata del mio letto.

A.- Amo poltrire.

G.- Io amo svagarmi e non stare MAI ferma.

A.- Amo la serie di Sherlock Holmes. 

G.- Amo le serie tv che parlano del lavoro dei medici.

A.- Amo la giustizia.

G.- Invece io spero che giustizia sia fatta per tutti coloro che un’ingiustizia hanno subito.

A.- Amo il mare.

G.- Anche io amo il mare.

G.- Lo so che “passavi ore in acqua, non avevi nessuna paura delle onde o della profondità e sembrava fosse il tuo elemento naturale.”

Parte di ciò che ho scritto precedentemente l’ho estrapolato dal libro “Io sono come il mare” di Antonella Diacono e mi è piaciuta l’idea di confrontarmi con lei e notare come si può essere simili, pur cogliendo sfumature diverse.

Ma la mia attenzione si concentra sull’ultima frase e sul nostro amore comune per il mare.

Ci sono momenti della nostra vita in cui si ha paura delle onde del mare e in alcuni momenti ci facciamo sopraffare.

Ci sono altri momenti in cui abbiamo paura di scovare nella nostra più profonda interiorità.

E quindi ci aspettiamo che gli altri trovino tre motivi per affrontare con noi la paura delle onde e della profondità.

Non dobbiamo impegnarci a farci accettare così come siamo da almeno tre persone, ma sono gli altri che ci dovrebbero accettare per come siamo per almeno tre nostre caratteristiche, belle o brutte che siano.

E quindi a noi splendide creature dedico questa poesia:

Io sono come il mare,
non smetto mai di parlare.
Io sono come il mare,
non smetto mai di ascoltare.
Io sono come il mare,
placido e limpido come il cielo.
Io sono come il mare,
imperturbabile e irrequieto come la tempesta.
Io sono quel che sono,
e sarebbe bello se mi accettassi così come sono.

Gaia Stella De Tommaso
II A – IC Ronchi, Cellamare

Chiunque


Nessuno ha mai ascoltato la sua voce a scuola. Scale polverose, percorse come piste da corsa dai ragazzi, preoccupati che i professori abbiano già annotato in classe un’assenza sul registro. Scie di nicotina, lasciate in bagno dopo aver fumato tra le lacrime, abbattuti da un’interrogazione disastrosa, le sigarette rubate dal giubbotto del proprio padre. Laboratori di chimica impregnati dall’odore dei reagenti esaminati nelle provette, nei quali chi sembra possedere un’anima è solamente lo scheletro utilizzato nelle lezioni di anatomia, il cui sguardo rivela un misto tra compassione e divertimento.

Distratti da ciò che vi circonda, dalla frenesia della vita, non vi siete mai accorti di quella ragazza in fondo alla classe.

Di lei che si nasconde in felpe sempre troppo larghe e che i capelli li porta lunghi e sciolti, per nascondere gli occhi arrossati e gonfi. Di lei che ascolta ogni cosa, mentre voi non fate caso neanche al suo silenzio. Di lei che aspetta, ma intanto sente gli scherni, le risate e le parole pronunciate a bassa voce dietro una mano. Ora si è alzata e sta andando in bagno, l’unico posto in cui ritiene dover stare. Non abbassate la testa, gli occhi parlano e in questo momento mi raccontano cosa pensate di lei, senza mai rendervi conto
di quello che ogni giorno causate.

La state uccidendo: le vostre parole, la vostra indifferenza la fanno a pezzi, le lacerano il cuore, le spezzano l’anima, annullandone i sentimenti; la sua unica certezza è quella di essere un mostro travestito da ragazza triste. Tra le mani fa scivolare una lametta e la poggia sulla pelle, convinta che il dolore inflitto non potrà mai essere peggiore di quello che la sua mente le procura.

Un dolore accentuato dall’eco delle frasi ascoltate nei corridoi, dai riflessi dei volti di coloro che, incontrandola, cambiano strada perché il suo soprannome è “sfortuna vivente” e se qualcuno la tocca è
contagiato per sempre. Tagliarsi appare il rimedio più efficace per uccidere i demoni che ogni giorno gridano nel buio della sua testa e fanno paura, perché non hanno tentacoli o denti affilati. Ma hanno occhi, una bocca, mani. E possono ferire. Cercatela allora e, se la trovate, seguitela; io non posso raccontarvi le sue azioni in questo momento.

Ma le posso immaginare.

Vedere il proprio sangue scivolare lungo le braccia la spaventa molto meno che riflettere sulla sua autostima sempre più bassa. Non impallidite di fronte a lunghe cicatrici che nascondono il piacere di sentirsi viva per un attimo, che le permettono di provare le emozioni che il mondo ha provato a cancellarle. Non mi sorprenderei se avvicinasse le sue dita tremanti alla gola, nella speranza di perdere chili di troppo per i quali tutti sembrano giudicarla. Se fosse seduta accanto a un lavandino e stesse facendo i conti con un’ansia che le toglie il respiro e la fa sentire in procinto di affogare nel mare delle sue paure; il peso delle sue insicurezze la trascina verso gli abissi dove vi sono squali che l’aspettano, attirati dal sangue che sgorga da vecchie ferite mai rimarginate.

Lasciarsi andare è facile quando non c’è nessuno per cui rimanere; precipitare nel vuoto non spaventa tanto quanto affrontare l’ignoto di giorni che paiono una condanna.

Ci si potrebbe aspettare la sua sconfitta, di lei, la ragazza dagli occhi spenti, ma allo stesso tempo pieni di domande, celate da una maschera di fredda apatia, le cui crepe sono difficili da notare perché col tempo ha imparato a nascondere; la ragazza che trattiene il fiato quando qualcuno le si avvicina, per paura di ricevere una nuova etichetta da aggiungere alla miriade di aggettivi che ormai sente propri più del suo stesso nome.

E’ diventata un’estranea anche per se stessa.

Sta cadendo e se non riesce a risollevarsi è perché convinta di non poter essere mai amata, di essere un errore in una società dove la perfezione sembra essere l’unica strada percorribile.

Basta.

Basta pregiudizi, basta definizioni, basta classificazioni di qualsiasi genere.

In questo momento la ragazza si è rialzata. Avrà aperto il rubinetto e l’acqua fredda le starà cancellando i segni lasciati sul viso dalle lacrime, il trucco colato lungo il contorno degli occhi o una goccia di sudore vicino alla fronte. Si starà guardando allo specchio, chiedendosi cos’è rimasto di lei, quanto le hanno tolto coloro che l’hanno abbandonata. Tu sei rimasto ad aspettare dietro la porta.

Rifletti. E cambia.

Non esitare ad entrare in quel bagno, ad andarle incontro, ad abbracciarla. Ha paura dell’amore perché certa di non meritarlo, attorno al suo cuore ha costruito un muro di pietra che le permette soltanto di sentire quello che accade dall’altro lato. Accovacciata, attende che qualcuno le lanci la chiave per accedere al luogo a tutti dovuto, ma che a lei sembra negato. Perché lo spazio è sempre troppo grande o troppo piccolo, con un rumore di fondo assordante e rimbombante, come trombe e sassofoni di un’orchestra nella quale non si è ancora trovato un direttore che la diriga e aiuti a trovare la propria melodia.

Vorrebbe accettarsi per quella che è. Ma chi è? Non lo sa ancora, proprio come te. Scopritelo insieme. Se è la “Vita” che propone a tutti lo stesso film, ognuno deve essere regista della propria pellicola, ma uniti potreste creare un capolavoro.

Sarà per sempre o solo per un secondo, ma sarete onorati di stringervi la mano durante la vostra ultima scena insieme. Ora ci sei solo tu. So che la puoi salvare, afferrale la mano e tirala verso l’alto. Non è la ragazza triste di cui tutti parlano, non porta sfortuna, non fa niente di tutto ciò. È una ragazza, potresti essere tu, potrebbe essere chiunque. Ma se “chiunque” esiste, non essere tu l’autore della sua fine.

Sii quello che molti chiamano un “punto e virgola”: la fine che segna un inizio. Vivetevi. Scava dentro di lei, non fermarti all’apparenza. Ha sofferto fino ad oggi, ma la sua speranza più grande è imparare a volare.

Fatelo insieme. Lei lo merita. E anche tu.

Francesca Attolico
III H Liceo Classico Socrate, Bari

Classe II E – SS Dante Alighieri, Modugno

Classe III C – Liceo Scientifico Salvemini, Bari

Notte prima degli esami

Mi chiamo Maria Chiara, ho tredici anni e domani ho i primi esami della mia vita.

Sono sempre stata una persona ansiosa, ma ultimamente nelle mie giornate c’è qualcosa – o meglio qualcuno – che mi trasmette un grande senso di paura: inizio a pensare che sia un mostro. Ho provato a raccontare tutto ai miei genitori, ma nulla da fare, credono soltanto che sia pazza. Allora come faccio a vederlo e a sentire la sua voce? Impossibile che sia semplicemente frutto della mia immaginazione. Ogni giorno lo vedo sempre più frequentemente: mi urla addosso, mi dice di ritirarmi, che durante l’esame tremerò così tanto che la gente mi prenderà sempre in giro e che tutti mi guarderanno male.

Ho sempre avuto paura di parlare davanti a tanta gente… Lo vedo anche ogni notte, nei miei incubi: sogno di dover combattere contro di lui. Io però non ce la faccio, quel mostro è troppo per me. Ha sempre lui la vittoria, ed io per punizione muoio ogni notte. Durante il conflitto notturno, utilizza un’arma terribile: mi intrappola in una sfera, in cui improvvisamente appaiono tante scene diverse; in ognuna devo parlare all’interno di una stanza completamente buia, nella quale vedo solo mille occhi puntati su di me. Capite adesso come faccio sempre a perdere? Ogni notte va a finire che dico sempre la stessa frase: «Basta per favore, non riesco a stare qui!».

È lì che quel brutto mostro mi cattura con le sue giganti mani, portandomi alla sconfitta, quindi alla mia morte temporanea. Ogni notte muoio e ogni giorno perdo la fiducia in me stessa, per le continue urla di quell’essere che non fanno altro che scoraggiarmi.

È la notte prima degli esami e non riesco a dormire, perché questo pomeriggio ho scoperto di non essere l’unica a “immaginare” queste cose.

Verso le sei ho acceso il telefono e ho visto un’enorme quantità di messaggi sul gruppo WhatsApp della mia classe. Ho letto che anche i miei compagni hanno visto dei mostri ultimamente, e ne sono rimasta stupita: anche loro sono perseguitati dalle frustranti urla che sento io, ma li scoraggiano diversamente. Per esempio la mia compagna Simonetta è tartassata dalla frase «fallirai prima o poi»; il mio compagno Federico dalla frase «deluderai tutti». Non riesco a capire perché siano spaventati da stupidaggini del genere! Però, quando ho rivelato loro il mio mostro, mi hanno presa in giro dicendo che non è così tanto pauroso.

Ognuno ritiene il mostro dell’altro stupido.

Sono le 21:30 circa, e il mostro non si è più fatto vivo da un’ora. Io, però, non mi faccio ingannare da questa strana aria di tranquillità: sento che sta per accadere qualcosa. Decido di chiamare Carlotta, una mia compagna di classe molto intelligente: sicuramente lei saprà dare una spiegazione a tutto. Inaspettatamente, mi risponde al telefono con una voce tremante, come di qualcuno che sta cercando di trattenere il pianto: «M-Mari, t-tu mi credi? Ho visto questo strano essere, mi ha detto che durante l’esame scorderò tutto. Ormai è da quasi un’ora che non si fa sentire, ma ho p-paura che torni. Tu mi credi?». Improvvisamente il telefono si spegne, pur essendo carico. Non ho potuto neanche rispondere per consolarla. Fuori dalla mia finestra la città è deserta. Sento che sta per succedere qualcosa mentre il sonno mi prende, come se il mostro mi stesse obbligando ad andare a letto per teletrasportarmi nel mondo dei sogni a combattere.

Adesso è mattina. Un attimo, è mattina? Com’è possibile? Non è successo nulla questa notte. Magari è tutto finito! Mi sento sollevata da un peso, finalmente pronta per gli esami. Alle 8:30 arriva il mio turno per l’orale. Per i primi tre minuti va tutto bene; a un tratto però non riesco più a vedere i professori, sebbene senta le loro voci. In quel momento lo vedo: è il mostro. È diverso dal solito, è enorme, sembra la somma di tutti i mostri dei miei compagni e del mio. Sto urlando, ma gli insegnanti non mi sentono, sentono solo cose riguardo all’esame. Sto chiedendo aiuto, ma nessuno mi sente. Improvvisamente mi trovo nella sfera ricoperta di occhi, che ora sembrano gli stessi dei miei professori. In più, stavolta il mostro è dentro la sfera e le sue urla rimbombano ancora più forti: usa contro di me anche le paure dei miei compagni, e insicurezze che non dovrebbero avere nulla a che fare con l’esame, persino quella sul mio aspetto fisico.

Non è giusto!

A un tratto vedo la mia amica Laura, che fa strada a tutti i miei compagni di classe portandoli da me. Mentre sto per terminare la mia solita frase – «Basta per favore, non riesco a stare qui!» – vengo interrotta dai miei compagni, che mi lanciano un’arma per lottare insieme a loro. È un’arma diversa dalle altre: un paio di cuffie, con le quali sento la mia stessa voce che mi incoraggia.

Ho l’impressione che stiamo lottando tutti insieme per il nostro esame, nella stessa sfera; probabilmente però ognuno di noi si vede circondato da paure diverse. C’è una gran confusione, sento tante voci: la mia che proviene dalle cuffie, quella del mostro, quelle di incoraggiamento dei miei compagni, e quelle dei miei professori che continuano a farmi domande. Contemporaneamente cerco di rispondere alle domande d’esame: è così faticoso, a causa di tutto ciò che sta succedendo dentro di me. All’improvviso, il frastuono si ferma: una professoressa mi dice «Complimenti, hai superato l’esame!», mentre una voce robotica afferma «Sfida completata».

Mi sveglio nel mio letto e guardo l’orario sul cellulare: sono le tre. Quella che sembrava la realtà era soltanto un ultimo incubo. Finalmente sono riuscita a sconfiggere il mostro che era dentro di me. O, per meglio dire, ci siamo riusciti tutti insieme.

Adesso ho capito: ognuno di noi ha un mostro nella propria testa, che tende a scoraggiarci, a farci credere di non essere mai abbastanza.

Solo comprendendo i mostri degli altri sono riuscita a superare il mio. Ma, un secondo… perché mia sorella sta parlando nel sonno dicendo

«Basta per favore, non riesco a stare qui»?

Maria Chiara Favale
III Preziosissimo Sangue, Bari

IL PIACERE DI PIACERSI

Piacere non fa piacere
se per essere accettata
devo essere omologata,
se passando tra la gente
devo essere giudicata;
se son grassa, se son snella
come fossi in passerella.

Piacere non fa piacere
se per essere accettata
devo essere taggata
e per essere apprezzati
contan i like collezionati,
per un selfie, una foto
che sui social son postati.

Piacere non fa piacere
se per essere accettata
devo essere firmata,
devo essere elegante
devo essere alla moda
devo essere sempre in tiro
per non esser presa in giro.

E se io non sono bella?
Se son goffa e cicciottella?
Come faccio a stare al passo
col parere del gradasso?

Ci si sente gran fallite
per aver la cellulite;
si vive tormentate,
dallo specchio spaventate
e piangendo mi dispero:
intorno a me è tutto nero.

Non son brava, non valgo niente
ho paura della gente
ho paura del giudizio,
vorrei buttarmi da un precipizio.

Piacere non fa piacere
se per essere accettata
devo essere annullata,
della mia serenità
devo essere privata.
E PER COSA? PER LA GENTE?
CHE TI GUARDA, RIDE E MENTE?

Ma tu sai che c’è di bello?

Di piacere me ne infischio,
perché correr questo rischio?
Me ne frego, me ne sbatto
voglio vivere d’ impatto,
voglio essere felice
coraggiosa conduttrice,
voglio essere me stessa,
BASTA… essere complessa!
Voglio vivere la mia vita come fossi principessa!

Eugenia Alessandra Mirra, Rebecca Proscia
3 ASA Liceo Amaldi, Bitetto

Giulia Granata
III A – SS Michelangelo, Bari

Paolo Diacono
II SF – Liceo Scientifico Margherita Hack, Bari

LA SOLITUDINE


Giovedì, 12/05/2022
Caro diario,
a volte mi sembra di rincorrere la felicità come fanno i bambini con le bolle di sapone, così belle, con le loro mille sfumature di colore, ma quando toccano un oggetto tutta la magia svanisce. Questo accade anche a me.

Ci sono momenti che vorrei non finissero mai, vorrei che il tempo si fermasse; proprio come da piccola, volevo che quelle bolle non scoppiassero mai e rimanessero così per sempre. Altre volte desidero che il tempo passi in fretta come un treno che sfreccia sui binari.

Ho sempre cercato di essere accettata dagli altri, ma non ci riuscivo.

Dopo averci pensato giorni e giorni e aver passato notti in bianco, ho capito che l’unica cosa che conta è farmi accettare da me stessa, e solo così, poi, potranno farlo due, tre persone e tutti gli altri.

Molte volte, ho dovuto indossare delle maschere, nascondendo quella che sono veramente, mentendo persino a me stessa, cercando di essere la persona che non sono. Ho attraversato momenti molto bui, come se mi fossi ritrovata, da un momento all’altro, dentro un tunnel e mi sono sempre sentita ripetere che mi dovevo salvare da sola, mi dovevo aiutare da sola, con le mie forze; ma quando cadi nel vuoto tutto ciò non è possibile, serve qualcuno a cui reggerti, perché “Nessuno si salva da solo”.

Penso che per superare questi momenti servirebbe qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo prezioso: un amico. Un amico è un tesoro unico e raro da custodire, proprio come un quadrifoglio; difficile da trovare, ma una fortuna averlo.

Per molto tempo i pregiudizi degli altri mi hanno condizionata, sono come armi affilate e taglienti e le ferite che provocano sono indelebili. Non basta ritirare ciò che si è detto per rimarginare una ferita così grande, perché le persone non sono delle bambole alle quali basta ricucire lo strappo per farle tornare come nuove.

A causa di questi pregiudizi, molte volte mi sono ritrovata sola.

Mi sentivo inadeguata, come un errore segnato in rosso in una pagina bianca. Tutto ciò mi ha portato a chiudermi in me stessa come un bruco piccolo e indifeso, che prima di diventare una bellissima farfalla rimane lì, solo, in un bozzolo. In alcuni momenti avrei tanto voluto essere proprio quella farfalla, sicura di sé, libera di volare ovunque, senza nessuno che la giudicasse. Non volevo incontrare e conoscere nessuno, avevo paura di ferirmi un’altra volta.

A volte penso che la mia vita sia come un castello di sabbia che da un momento all’altro possa crollare a causa delle onde del mare o come un gioco in cui c’è chi vince e c’è chi perde, e che il dolore e le parole che mi hanno ferita siano solo delle vite che dopo si rinnovano. Ma non è affatto così perché la sofferenza è un sentimento che a nessuno piacerebbe provare e in questo gioco chiamato vita devono esserci soltanto vincitori. Adesso devo lasciarti.
Spero un giorno che questo bozzolo possa schiudersi, che la farfalla possa prendere il volo e che ogni suo battito d’ali possa trasmettere le mie parole prigioniere a molte persone.

Rosa Nigro
II A – SS Padre Pio, Altamura

Esisto nei vostri sguardi

Concedetemi
di non fingere,
isolate le mie paure,
ora che mi siete a fianco,
ora che cerco di uscire,
con timore,
dalla mia zona d’ombra.

Sono sospesa…
attaccatemi a voi,
come un figlio
al seno materno.
Come mi percepite?
Bruco o farfalla?

Mi specchio
nei vostri occhi,
sostanza incorporea,
definendo forma
ed essenza.

Se almeno tre sguardi
incrociano il mio,
accogliendomi con calore,
ospitandomi con rispetto,
sono degna di esistere
e di amare questa mia anima
danzante, in cerca di riposo.

Maria Angela Floro
3C Alb. IISS Piero Calamandrei, Carbonara

Classe 1L – SS Riccardo Monterisi, Bisceglie

Classe IID – IISS Tommaso Fiore, Modugno