Si consiglia la visione da un PC.

LA SEMPLICE SVOLTA DELLA VITA

Caro diario,

stasera ho una bella sfida da proporre a me stessa! Devo riuscire a farmi accettare così come sono da almeno tre persone….serve coraggio per affrontare quelle situazioni e quelle persone che, giorno dopo giorno, mi fanno sentire piccola, indifesa e sbagliata. Ma in realtà, come se all’improvviso mi fossi svegliata da un sogno, capisco che non sono io sbagliata e quindi devo provare ad affrontarle, devo provarci!

La prima persona dalla quale comincerò è una mia compagna di classe.

Troppe volta mi ha zittita e umiliata, ha sempre deriso i miei errori, ha sempre puntato il dito contro le mie insicurezze e mi ha usato per divertire gli altri.

Ora è il momento di parlarle, non è più il momento di subire, devo far comprendere che anch’io ho pensieri e opinioni che mi piace esprimere e mi piace farlo nel rispetto degli altri, perché capisco che potrei offendere e provocare un dolore che diventa difficile da superare. Un dolore che poi si trasforma nel terrore di esporsi e ti fa rinchiudere in te stessa, creandoti una bolla che ti illudi possa proteggerti…..

Seconda sfida:

anche nello sport non è facile, dovrebbe essere un modo per sfogarsi, relazionarsi e fare gioco di squadra ma per me è tutto diverso. La pallavolo è la mia passione da sempre ma solo ora ho iniziato ad allenarmi, infatti non me la cavo molto però ho voglia di imparare anche se sarà difficile perché non vengo accettata dalla mia squadra e faccio molta fatica ad ambientarmi. Non riesco a giocare bene a causa dei bisbigli di sottofondo delle ragazze in gamba e mi sento molto inferiore;  ciò avviene anche negli spogliatoi: “ Non riuscirà mai ad essere brava”…“ha un ruolo insignificante”…“non la sopporta nessuno” questi commenti mi spingono a chiudermi in me stessa, nella mia bolla, mi spingono ad auto escludermi e faccio fatica anche ad integrarmi.

Terzo e ultimo ostacolo:

il mondo degli adulti a volte così complicato!

Con alcuni professori ad esempio non c’è un bel rapporto, alcuni di loro soffocano il dialogo e altri incitano le prese in giro, la violenza e gli schieramenti. Un professore dovrebbe educare i ragazzi ad accogliere l’altro, ma a volte è come se i professori stimolassero la violenza verbale con frasi tipo: “Non abbiate paura di offendere, se qualcosa non vi va a genio fate sentire come urlate anche a costo di ferire gli altri. Dovete cercare di  valere di più degli altri, non esiste nessuno migliore di voi” …su questo atteggiamento proprio non riesco ad esprimermi…

Sentire queste parole da un professore suscita  il terrore di parlare, la paura di mostrarti e la sensazione di essere soli contro qualcuno che in quel contesto è più forte.

Nella paura di questa quotidianità, ho trovato da qualche parte in mezzo al caos il coraggio per dire quello che non mi sembra giusto, e piano piano ho incontrato una persona che mi ha supportato e sostenuto.

L’unica persona con cui ho legato molto è un ragazzo pieno di sincerità e affetto, un ragazzo dal cuore d’oro, che può sembrare uno sbruffone ma quando stabilisci la giusta confidenza ti apre il suo cuore, con i discorsi e gli incoraggiamenti per affrontare le difficoltà dell’adolescenza. Ho capito di potermi fidare quando si è accorto della me, isolata in quell’angolo buio e cupo in fondo all’aula, quando è venuto lì e mi ha sorriso e mi ha chiesto cosa avevo, da quel momento le mie giornate sono più colorate e meno isolate. Gli altri mi vedono come la “strana” della classe, ma lui, lui con i sui occhi castani mi ha saputo leggere dentro, ha capito cosa avevo solo con uno sguardo e un sorriso, quel sorriso che mi ha portato a fidarmi di lui, travolgendolo, quasi come una valanga, con i miei pensieri che sembravano essere carichi di una forza inaspettata, che non credevo di avere.

Ora devo proseguire su questa strada, devo esprimere senza timore le mie idee, le mie opinioni, le mie esperienze e devo smettere di farmi mettere i piedi in testa.

Consapevole che la mia felicità è sempre stata a portata di mano, capisco che le mie fragilità, chissà, potrebbero anche abbattere quei pregiudizi che alzano barriere e provocano un soffocante dolore allo stomaco, e potrebbero insegnare agli altri che la diversità, l’accettazione e l’accoglienza sono una meravigliosa occasione di crescita.

Daniela Mastrorosa
I.S. San Giovanni Bosco, Polignano a mare

INTRAPPOLATA NEL MIO SOGNO


Sono intrappolata nel mio sogno,
quello di sperare di avere un’
Amicizia
e di farmi accettare da almeno tre persone, non so se riuscirò mai a svegliarmi.
Sono intrappolata nel mio sogno, quello di
Sperare
di poter distruggere, di poter annientare,
la maschera che nasconde il mio volto non so se riuscirò mai a svegliarmi.
Sono intrappolata nel mio sogno, quello di
Desiderare
di liberarmi dalla luce accecante dell’insicurezza,
non so se riuscirò mai a svegliarmi.
Amicizia, Speranza e Desiderio mi tendono la mano,
ma non riesco ad afferrarla.
Sono intrappolata nel mio sogno, e adesso mi risveglierò
aprirò gli occhi alla realtà che mi circonda. Sono intrappolata nella realtà
E non so se ce la farò.

Laura Lorusso
SS Padre Pio, Altamura

LA SOLITUDINE


Giovedì, 12/05/2022
Caro diario,
a volte mi sembra di rincorrere la felicità come fanno i bambini con le bolle di sapone, così belle, con le loro mille sfumature di colore, ma quando toccano un oggetto tutta la magia svanisce. Questo accade anche a me. Ci sono momenti che vorrei non finissero mai, vorrei che il tempo si fermasse; proprio come da piccola, volevo che quelle bolle non scoppiassero mai e rimanessero così per sempre. Altre volte desidero che il tempo passi in fretta come un treno che sfreccia sui binari. Ho sempre cercato di essere accettata dagli altri, ma non ci riuscivo. Dopo averci pensato giorni e giorni e aver passato notti in bianco, ho capito che l’unica cosa che conta è farmi accettare da me stessa, e solo così, poi, potranno farlo due, tre persone e tutti gli altri. Molte volte, ho dovuto indossare delle maschere, nascondendo quella che sono veramente, mentendo persino a me stessa, cercando di essere la persona che non sono. Ho attraversato momenti molto bui, come se mi fossi ritrovata, da un momento all’altro, dentro un tunnel e mi sono sempre sentita ripetere che mi dovevo salvare da sola, mi dovevo aiutare da sola, con le mie forze; ma quando cadi nel vuoto tutto ciò non è possibile, serve qualcuno a cui reggerti, perché “Nessuno si salva da solo”. Penso che per superare questi momenti servirebbe qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo prezioso: un amico. Un amico è un tesoro unico e raro da custodire, proprio come un quadrifoglio; difficile da trovare, ma una fortuna averlo. Per molto tempo i pregiudizi degli altri mi hanno condizionata, sono come armi affilate e taglienti e le ferite che provocano sono indelebili. Non basta ritirare ciò che si è detto per rimarginare una ferita così grande, perché le persone non sono delle bambole alle quali basta ricucire lo strappo per farle tornare come nuove. A causa di questi pregiudizi, molte volte mi sono ritrovata sola. Mi sentivo inadeguata, come un errore segnato in rosso in una pagina bianca. Tutto ciò mi ha portato a chiudermi in me stessa come un bruco piccolo e indifeso, che prima di diventare una bellissima farfalla rimane lì, solo, in un bozzolo. In alcuni momenti avrei tanto voluto essere proprio quella farfalla, sicura di sé, libera di volare ovunque, senza nessuno che la giudicasse. Non volevo incontrare e conoscere nessuno, avevo paura di ferirmi un’altra volta. A volte penso che la mia vita sia come un castello di sabbia che da un momento all’altro possa crollare a causa delle onde del mare o come un gioco in cui c’è chi vince e c’è chi perde, e che il dolore e le parole che mi hanno ferita siano solo delle vite che dopo si rinnovano. Ma non è affatto così perché la sofferenza è un sentimento che a nessuno piacerebbe provare e in questo gioco chiamato vita devono esserci soltanto vincitori. Adesso devo lasciarti.
Spero un giorno che questo bozzolo possa schiudersi, che la farfalla possa prendere il volo e che ogni suo battito d’ali possa trasmettere le mie parole prigioniere a molte persone.

Rosa Nigro
SS Padre Pio, Altamura

Gaia Di Pietro
IC Cianciotta Modugno, Bitetto

Un errore fatale

16 dicembre 2017

Eravamo tutti in silenzio, in attesa che la maestra entrasse con la nuova compagna. Ricordo che pensai

-Spero sia carina. Siamo arrivati in quinta e non c’è nessuna bambina decente nella mia classe!

-Buongiorno ragazzi, lei è la vostra nuova compagna. Si chiama Emma Crumiri ed ha una particolarità: è sorda. Ve ne avevo già parlato e vi ho dato numerosi consigli sul modo in cui comunicare con lei. Trattatela bene, mi raccomando e fatela sentire a suo agio-ci disse la maestra.

-Sorda? Che sfigata!- ho pensato.

A fine lezione, il mio gruppo di amici si avvicinò a lei incominciando a fare gesti senza senso, decisi di unirmi a loro e notai degli strani apparecchietti nelle sue orecchie. Dopo averli osservati meglio, capii che le servivano per sentire, allora, per dispetto, iniziai a toccarglieli. Lo facevo ogni volta che ne avevo l’occasione, perché lei si infastidiva e faceva un verso buffo, finché un giorno, per un movimento brusco, l’apparecchio volò via e vidi del sangue che le usciva dall’orecchio. Allora scappai, sperando che nessuno mi avesse visto.

Tornai a casa nel pomeriggio, tanto sapevo che mia madre, presa dal mio fratellino, non si sarebbe neanche accorta della mia assenza. Invece, appena varcata la soglia, la vidi con gli occhi rossi che mi aspettava. Avvertii una strana sensazione, così mi avvicinai e le chiesi: – Mamma, è successo qualcosa? –

Lei rispose ferma -No, andiamo in macchina-

Quando ci ritrovammo nel veicolo, mi accorsi che mia madre piangeva, ma non mi disse una sola parola.

Ad un certo punto, fermò l’auto davanti ad un palazzo: si trattava di casa di Emma, l’avevo riconosciuta dalla descrizione che lei ne aveva fatto in un testo letto dalla maestra. Lei scese e mi chiese di aspettare lì.

Qualche istante dopo, comparvero Emma e sua madre e il mio cuore si fermò.

Fu allora che mia madre fece qualcosa che lasciò un segno profondo in me: si inginocchiò davanti a loro e, con un’espressione mortificata, porse una busta bianca: conteneva il denaro per ripagare gli apparecchi acustici. In quel momento mi sentii piccolo e stupido, avevo umiliato mia madre e lei, come sempre buona e disponibile, non mi aveva neanche punito.

Da quel giorno la mia vita cambiò. Non solo sentii di aver ferito l’unica persona che mi avesse mai amato incondizionatamente, ma i miei amici iniziarono a voltarmi le spalle, credo per paura di ripercussioni

17 dicembre 2017

Non avevo voglia di entrare in classe e affrontare Emma, non sapevo dove mettere la faccia, poi…

-Oggi Emma non c’ è- disse la maestra. D’istinto tirai un sospiro di sollievo, poi iniziai a preoccuparmi

-Se le fosse successo qualcosa, darebbero la colpa a me- pensai.

Ed in effetti…

-Visto, Emma se n’è andata per colpa tua- mi disse Giulia e si accese un dibattito sull’accaduto.

-Maestra è stato Giorgio!- mi accusò

-Coosa! Anche tu la prendevi in giro- dissi

Ma Giulia e le sue amiche si misero a piangere, giurando che non era vero…le solite ragazzine in cerca di attenzioni. La maestra allora ci fece un lungo discorso sul significato dell’amicizia e del rispetto che durò un’ora!

Al suono della campanella, andammo a mensa ed io mi sedetti al solito posto ma….

-Ehi, tu non puoi stare qui!- mi disse Carlo, che fino al giorno prima rideva con me

-E perché?- chiesi

-Perché a noi non piacciono quelli che fanno i prepotenti con le ragazze indifese- disse e si voltò dall’altra parte.

Ed è andata cosi per molto tempo. Nessuno voleva più giocare con me, ero diventato io quello da isolare

23 gennaio 2022

Sono passati quattro anni da quel brutto episodio ed io sono cambiato molto. Molti miei compagni delle elementari frequentano la mia stessa scuola media, così tutti qui hanno saputo che ‘sono da evitare’ e pare ci provino gusto. Spesso mi sento solo, ma non so come fare a cambiare le cose.

Dopo essermi preparato, ho preso la bici e sono andato a scuola. Come sempre, nessuno mi ha salutato quando sono entrato in classe.

Durante la ricreazione, il mio sguardo è attratto da un viso familiare… mi ricorda qualcuno, ma chi? Potrebbe essere… no, non ci credo, sembra Emma! Ma guardo con insistenza e mi accorgo che in realtà gli occhi sono più profondi.

La ragazza si avvicina e mi dice -Ciao, credo che tu non mi conosca-

-Ecco, chi sei?- le rispondo

-Sono la sorella di Emma, ti ricordi di lei?- e rimane qualche istante ad osservare la mia reazione

-Tu sei Giorgio, vero? Emma mi ha parlato molto di te.- aggiunge

-Io….io, non ho mai smesso di pensare a lei, perché… non so che dire!- rispondo timidamente

26 gennaio 2022

Sono passati 3 giorni dall’ incontro con quella ragazza. Lei va in seconda media, è un anno più piccola di me. Ho saputo che si chiama Alice, ha i capelli castano scuro, occhi color miele e le piace molto disegnare. Anche il giorno dopo è venuta a sedersi al mio tavolo a pranzo. E così, adesso parliamo di tante cose, ma di Emma, nessuna notizia. Allora ho preso coraggio e ho chiesto di lei.

-Maaa …Emma come sta?-

-Bene, frequenta un’altra scuola media. Ha voluto seguire le sue amiche.-

-Oh- le ho risposto.

-Sai, alle elementari le piacevi, poi però hai cominciato a comportarti come un cretino e allora…ma ha sempre pensato che in realtà tu non avessi intenzione di farle male.

-Da-davvero?

Nel pomeriggio, mentre stavo cercando casa di Alice, che incredibilmente mi aveva chiesto di andare da lei, ho visto un ragazzo che stava litigando con due tizi perché gli volevano rubare la bici. Quando mi sono avvicinato, ho capito che si trattava di Marco. Eravamo stati amici alle elementari per un periodo, poi anche lui aveva cominciato ad ignorarmi.

Sono andato d’istinto verso di lui e quelli sono scappati

-Oddio, grazie! Sei Giorgio, giusto?

-Si.

-Abiti da queste parti?

-In verità stavo cercando casa di Alice ed Emma, la nostra compagna delle elementari, te la ricordi?

-Ah ma io so dove abitano! Vieni, ti accompagno-

Non posso raccontare quanto fossi felice in quel momento- Forse non sono più solo-, ho pensato.

20 febbraio 2022

Ora io, Alice e Marco passiamo un sacco di tempo insieme. Qualche volta si unisce anche Emma, ma si porta dietro sempre qualche sua amica.

Comincio a pensare che qualcuno mi accetta per ciò che sono e non per ciò che ho fatto. Resta solo una cosa da fare: oggi andrò a casa di Alice ed Emma e chiederò scusa alla loro mamma…è un peso che mi preme ancora sul petto.

Suono il campanello in preda all’ ansia, non so ancora cosa dirò. Mi apre Alice.

-Benvenuto! Entra pure.

-Grazie mille

La signora è lì che mi guarda in modo severo. Mi faccio forza e vado verso di lei

-Buongiorno signora, io sono Giorgio. Non so se ricorda- ma lei…niente

-Le vorrei chiedere scusa per il modo in cui mi sono comportato alle elementari. Non ero in me ma, mi creda, ora ho capito come ci si sente ad essere considerati solo per ciò che appare.

Lei è rimasta ancora qualche momento a guardarmi, anche se a me son sembrati anni…poi ha detto:

-Ti concedo il beneficio del dubbio, perché Alice ti considera un ragazzo a posto.

-Grazie signora- dico mentre sento che l’emozione sta per tirarmi un brutto scherzo, un nodo mi chiude la gola.

-Se vuoi rivedere Emma, è nella stanza infondo al corridoio-

Mi pervade una nuova emozione ancora, rivedrò Emma! Vado di corsa nella sua stanza, busso ma… niente. Decido così di entrare lentamente e vedo che la finestra è aperta, seduta sul davanzale però… c’è Emma!

-EMMA!!- urlo

Corro il più veloce possibile e le prendo la mano…non so perché, mi viene d’istinto. La porto vicina e la stringo a me. Dopodiché, prendo coraggio e la bacio.

Adesso la mia vita ha di nuovo preso una direzione buona, non mi sono mai sentito così tanto sollevato!

Fine.

Giorgia Sciacovelli e Clarissa Serino
IC Perone-Levi, Bari

IL BAMBINO DELLA NAVE

Non saprei definire con una sola parola ciò che sto provando in questo momento. Continuo a ripetermi “ Mattia andrà tutto bene, sei un ragazzo responsabile e, come dice il Capitano Nemo, gli uomini come noi hanno la protezione del mare“. Ma subito dopo mi sento come dare uno schiaffo e una vocina rauca mi sussurra “ Sei in un treno tutto solo, sei circondato da pericoli e i pericoli i ragazzini come te se li mangiano!“.

Vabbè ma facciamo prima un piccolo passo indietro. Sicuramente vi starete chiedendo come e perché un quattordicenne sia finito qui. Beh, eccovi la mia storia.

Vivo, o meglio vivevo, su una grande nave passeggeri. Non so perché in questi anni le persone vogliono emigrare tutte al Nord. Forse lì crescono più fiori? Boh chi lo sa, è strana la gente!

Hanno detto di avermi trovato avvolto in una copertina azzurra e visto che c’era mancanza di reclute mi hanno permesso di rimanere a bordo. Da allora la nave è diventata la mia famiglia anche se molto allargata. La vita in mare non era per niente una passeggiata. Incidenti sul lavoro, ore e ore nella cabina macchine dove buttavi carbone fino a diventare più nero della pece, la sera tardi marinai sbronzi con precedenti penali che picchiavano chiunque capitasse alla loro vista. La terra e la vita su di essa potevi ammirarla solo da lontano.

Proprio per questo, al mio ottavo compleanno (o come lo chiamano gli altri “giorno del miracolato reclutamento”) ho capito una cosa. La chiave per sopravvivere in quella savana era sottoporsi ad una essenziale sfida. Dovevo riuscire a farmi accettare così come ero almeno da tre persone. Un tale che lì ricopriva un ruolo importante; un tale sveglio e astuto come una volpe, libero e sfavillante come era il mare; un tale che a quei tempi si era guadagnato una solida devozione. Il Capitano Nemo era il primo, un vero stacanovista, a capo di quella nave da più di quindici anni. Indossava quasi sempre una sorta di bretelle al quanto sgualcite e fumava continuamente una pipa. Diceva di averla trovata ai piedi di un vulcano attivo in un’isola del Pacifico. L’unico momento in cui si dava un po’ di pace era al sorgere del Sole: se ne stava zitto, immobile a contemplare il mare. Credo lasciasse spazio alla sua mente per ricordare tutte le avventure che aveva passato e i volti che aveva incontrato. Il secondo era il mio migliore amico Pacioc, figlio di un marinaio. Secondo me la sua anima era legata al mare da una specie di rapporto mistico. Me lo immagino ancora col suo berretto verde ad issare le vele mentre sorride al sole.

Gli anni che ho trascorso sul Virginia penso che rimarranno per sempre i migliori della mia vita. La terza persona, dopo tutto quel tempo, non ero ancora riuscito a trovarla. Non sono certo del perché ma suppongo che le persone che lavoravano lì, un po’ per il loro passato, un po’ per il loro futuro, non avevano il coraggio di rendersi devoti a un’altra persona. Fatto sta che l’altro giorno, mentre stavo frugando tra alcuni bauli per raccattare qualche corda, ho avvertito come una carezza alla mano. Ho tastato meglio sul fondo e, scostando pian piano le varie cianfrusaglie, ho visto una copertina azzurra. L’ho tirata fuori e ho notato che sull’etichetta era riportato un indirizzo “Sunrise Street 26, Los Angeles-California”. Ci ho riflettuto qualche secondo e ho capito che la terza persona che stavo cercando non era un tale che per un motivo o per l’altro dovesse ricevere un grande rispetto, ma qualcuno con cui avessi un legame indissolubile, una persona di cui nessuno poteva dubitare l’autenticità, qualcuno col mio stesso sangue, qualcuno che poteva darmi

finalmente delle risposte. Così ho preso una decisione e quella stessa notte sono sgattaiolato fuori con una sacca sulle spalle e piangendo ho dato il mio ultimo addio al Virginia, una culla che però non spettava più a me. E adesso eccomi qui, in un treno tutto solo, mentre stringo tra le braccia una copertina azzurra in cerca della mia casa.

Francesca Intonti
ICS Capozzi-Galilei, Valenzano

Desiderio di piacere, paura di non riuscirci

Nella vita ci sono tanti aspetti positivi e negativi. Secondo me, l’aspetto più bello è il sentirsi amati e accettati; il più brutto, invece, è la solitudine, una bufera silenziosa che spezza tutti i rami, ovvero i nostri amici. Io credevo di essere una ragazza come le altre con pregi e difetti, ma nel tempo, crescendo, mi sono resa conto che non è così anzi mi sbagliavo di grosso.

Sono nata in Senegal e lì ho vissuto fino all’età di nove anni. Da quando mi sono trasferita in Italia, la mia vita è cambiata radicalmente. Ricordo ancora il giorno della partenza. Da una parte ero contenta di poter conoscere e vivere in un nuovo paese, poiché ho sempre desiderato lavorare come hostess e la cosa che desideravo e desidero di più al mondo è viaggiare e vivere esperienze diverse in molte parti del mondo; dall’altra parte ero triste di lasciare il paese dove sono cresciuta e dove avevo i miei più cari amici.

Quando ero piccola non avrei mai immaginato di poter conoscere persone che “apparentemente mi vogliono bene” ma nel cuore vorrebbero non avermi mai conosciuta. In Senegal, invece, avevo al mio fianco amici che mi volevano bene davvero e mi accettavano per quella che ero. Il disprezzo nei miei confronti forse è dovuto alla mia timidezza o alla mia incapacità di dialogare molto con coloro che mi circondano?

Non lo so. Fatto sta che da un po’ di tempo mi sento abbandonata in mezzo all’oceano senza nessuno.

Ho iniziato perciò a rifugiarmi nel mio mondo, il disegno, l’unico “posto” in cui sto bene con me stessa, è la sola maniera attraverso la quale riesco a liberarmi dai giudizi degli altri. Quando mi trovo con gli “amici” ho talmente paura di non essere accettata che mi adeguo completamente al loro modo di fare. Con loro indosso, anche senza volerlo, delle maschere che non mi appartengono e alla fine dimentico di riconoscere la gioia di essere me stessa. Se conoscessi persone più vere, non avrei la sensazione di vergogna o di timidezza che provo nel mostrare la “vera me” al mondo. Nel frattempo sono diventata la più timida dei timidi e questo mi ha resa anche tanto insicura.

Ho cercato di conoscere nuove persone e di essere più estroversa, ma timidezza e insicurezza l’hanno sempre fatta da padrone. Spesso invidio quelle persone che dicono tutto ciò che vogliono senza paura. La timidezza mescola il desiderio di piacere con il timore di non riuscirci. Essere introversa è restare in silenzio anche quando vorresti sputare fuori un fiume di parole, è terrificante vedersi scappare le occasioni e non poter fare niente. Vorrei essere conosciuta più a fondo. Per questo motivo, forse, anch’io devo iniziare a fidarmi delle persone o cominciare ad avere il coraggio di dire ciò che penso veramente? Mi piacerebbe essere più libera, sono stanca di essere fragile, insicura, debole, priva di forza, con tanti difetti. Ho capito che per essere accettata per ciò che sono non bisogna infilarsi una bautta, ma devo rimanere quella che sono effettivamente.

E’ vero, abbiamo bisogno di essere graditi almeno a due o tre persone, ma prima di tutto devo accettare me stessa. Voglio avere il coraggio di rischiare, altrimenti la vita si limiterebbe al nulla, perciò non dovrei avere la preoccupazione di fallire ma preoccuparmi di non averci provato.

Sarebbe bello se qualcuno mi dicesse “ti voglio bene”, a volte potrebbe essere la medicina di cui ho più necessità.

Bineta Cisse
ICS Capozzi-Galilei, Valenzano

Come si fa ad essere accettati?

Oggi per i giovani essere accettati è fondamentale: fanno di tutto pur di entrare a far parte di un gruppo. Questo vale ancor di più per noi ragazze e così è stato per me.
A scuola ti mostri simpatica, allegra e all’ultima moda. Ma sei veramente tu quella? Ti aggiusti i capelli, ti trucchi e ti vesti in un certo modo solo per far colpo, per essere notata.
Ti fanno i complimenti, però non ti senti bene come dovresti, non ti senti apprezzata perché non sei tu. Così tutti ti parlano, ridi con loro e racconti gli ultimi gossip. E poi…
A casa aspetti che lo schermo del tuo cellulare si illumini con una notifica dei tuoi “amici”, ma finisce sempre che ti chiedono i compiti inventando una scusa del tipo: “ho molte cose da recuperare, non ho capito l’esercizio oppure non ho avuto tempo”!
E secondo loro tu glieli devi mandare (i compiti) solo perché sanno che li hai fatti bene.
Sanno che possono contare sulla secchiona di turno!! E tu li mandi.
Ogni tanto ti piacerebbe che ti scrivessero un messaggio diverso, e invece no. Lo schermo rimane spento se non gli servi.
Si ricomincia così tutti i giorni. Premi quel piccolo tastino di lato, anche se sai che il cellulare non ha vibrato, speri di non aver sentito il suo “ding” e ti auguri che in realtà ci sia un messaggio, ma l’unica cosa che vedi è il tuo attore preferito su uno schermo senza notifiche.

È triste!! Cominci a pensare che nessuno tenga a te.
Perché gli altri sanno sempre tutto e tu no? Si scrivono tra di loro e a te non scrivono mai.
Tramite i social vieni a sapere che le tue amiche escono, vanno a casa una dell’altra, dormono insieme. Forse non hai letto tutti i messaggi, forse non le stavi ascoltando in classe mentre ne parlavano, forse è colpa tua se non sei lì.

Mi ricordo che una volta una mia amica fece un video con delle foto e altri video del nostro gruppo. Io apparivo solo nella prima foto e poi niente. Scrissi che era bello, era una risposta così fredda e distante, ma non credo che loro lo abbiano notato. Riguardai quel video almeno tre volte, chiedendomi perché non ero presente abbastanza, volevo piangere, eppure le lacrime non scendevano. Da quel momento iniziai ad isolarmi, a litigare con tutti, ad essere distante e smisi di mandare i compiti.

A un certo punto sei stanca di false amicizie, vuoi avere dei veri amici a cui puoi
raccontare tutto, a cui puoi mandare un messaggio senza che sia di scuola.
Capisci chi può essere tuo amico e da chi invece ti devi allontanare. Io l’ho fatto e adesso le ho trovate le tre persone che mi accettano così come sono! Ci si sente bene, hai un senso di leggerezza, non ti senti in colpa a parlare di qualcosa.
Si, avere una maschera a volte ci procura amici e popolarità, ma a quale costo?
Abbandonare chi siamo, allontanarci da coloro che ci tengono a noi veramente.

Non diventiamo falsi, cerchiamo di essere ciò che siamo!!!

Ilaria Terlizzi
SS Michelangelo, Bari

La maschera pirandelliana

Negli ultimi due anni di scuola, mi sono resa conto di essere cambiata molto: sia
fisicamente, ma soprattutto caratterialmente. Mi sento un’altra persona! Prima ero molto più allegra, sorridente, adoravo stare insieme agli altri, mi irritavo difficilmente.
Ora sono tutto l’opposto e questa cosa mi spaventa, ma allo stesso tempo mi rende malinconica perché darei tutto per poter tornare quella di prima. Questo mio cambiamento, però, sembrano averlo notato solo i miei genitori perché a casa mia è l’unico posto dove sono la vera me: scontrosa, sempre arrabbiata, con pochi momenti di felicità. Ho cercato di non far notare a tutti gli altri come sono diventata per paura di non essere accettata e compresa! Mi sono così dovuta adattare incominciando a indossare maschere su maschere, una in ogni posto diverso, che ho costruito in base alle circostanze.

Devo dire che aveva ragione Pirandello quando affermava che tutti gli esseri umani si mostrano alle persone indossando una maschera! Io credo di averne quattro: una per la scuola, dove sono divertente, un po’ ingenua, colei che ama parlare e far ridere gli altri; una per la palestra dove faccio ginnastica, in cui forse sono troppo timida; una per i momenti in cui conosco persone nuove e mi rinchiudo per la maggior parte del tempo in solitudine e infine quella per i miei parenti ai quali mostro sempre un finto sorriso stampato sulla faccia, e che forse dopo un po’ annoia.

Purtroppo non sono io a decidere se e quando metterle, mi viene automatico e non posso impedirlo, anche se a dire la verità non mi trovo male a fingere, non mi interessa che gli altri mi vedano e mi accettino come sono realmente. Mi capita a volte anche di confondermi con le maschere, di scambiarle, di unirle, ma penso che sia sempre in base alle situazioni in cui mi trovo.
Se prima ne facevo un dramma, ora non mi importa più di tanto! Vorrei essere una sola ed unica persona, ma ho capito che molto probabilmente non ci riuscirò mai o forse questo richiederà molto tempo e lavoro su me stessa e sinceramente non so nemmeno se alla fine mi troverò bene così. Da un po’ di anni seguo il pensiero di Antonella e lei ha ragione sicuramente quando dice che dobbiamo farci accettare come siamo veramente! Questo obiettivo era nella sua lista di cose da fare e forse è anche nella mia.

Diletta Lapicirella
SS Michelangelo, Bari

Troppo tardi!

Le piaceva uscire, andare a scuola, passeggiare con i suoi compagni, interagire con persone diverse e conoscere nuovi amici. Improvvisamente però qualcosa in lei cambiò: iniziò a nascondersi.

Non usciva più, non andava a scuola e, quelle poche volte che ci andava, si faceva venire a prendere prima dalla mamma, sempre più preoccupata.
Camminava per i corridoi coperta, indossava il cappuccio, dei vestiti larghi dove potersi nascondere, non parlava, non mangiava, non rideva più per non mostrare i suoi denti, che tanto le avevano criticato. Quella ragazza, che tutti conoscevano, era come sparita in un vortice che ruotava solo nella sua mente invadendo ogni secondo della sua vita, senza darle tregua.

Soffriva, soffriva moltissimo, passava ore e ore chiusa nella sua camera tra letto,
scrivania e cellulare. Poi di nuovo sedia, cellulare e letto. Si sentiva in colpa, terribilmente, sentiva di sprecare il suo tempo, ma allo stesso momento non riusciva ad alzarsi e prendere un’iniziativa.

Così restava abbandonata ancora e ancora tra quelle mura. La vita rimaneva
fuori, lei poteva solo ammirarla dalla finestra sempre chiusa. Non permetteva al minimo spiraglio di luce di entrare. Solo dopo qualcuno si è accorto di lei, della sua esistenza, della sua bellezza, della sua fragilità e di quanto aveva bisogno di aiuto, quando ormai era troppo tardi!!

Arianna Esposito
SS Michelangelo, Bari

La chiave per la felicità

Il bullismo è un fenomeno che si verifica soprattutto fra i bambini e gli adolescenti.
L’associazione Anto Paninabella Odv ha partecipato al progetto: “Riparatori di futuro”.
“Riparare” il proprio futuro, ma anche quello degli altri, significa capire o far capire le conseguenze che le nostre azioni possono avere sulla vita altrui, ad esempio se noi prendiamo in giro costantemente un compagno di classe per il suo aspetto fisico o per il carattere egli può perdere fiducia in se stesso e isolarsi dagli altri anche per molto tempo.
A volte alcune persone particolarmente sensibili possono arrivare a fare gesti irrimediabili come togliersi la vita.
Questa associazione è stata fondata dai genitori di Antonella Diacono, una ragazzina che a 13 anni, in primo liceo, si è suicidata perché si sentiva trasparente ed esclusa dagli altri.
Molte volte chi esclude un’altra persona non se ne rende neanche conto, per questo è importante che noi ragazzi impariamo a non essere indifferenti e a prestare attenzione alle voci di tutti, anche di quelli che sono più introversi degli altri.
Al giorno d’oggi esiste anche il cyberbullismo, una forma di bullismo che viene attuato attraverso i social, per mezzo dei quali possono essere diffuse in rete immagini o video offensivi e non consentiti; ciò provoca ancora più dolore in chi lo subisce.
Bisogna anche pensare che il bullo può semplicemente essere una persona superficiale, ma anche che può lui stesso avere delle difficoltà e che vuole far provare agli altri quello che sta passando; quindi va anche lui aiutato.
Alla fine, la soluzione migliore, se si è vittima di bullismo, è quella di non avere paura di chiedere aiuto e parlare con i genitori, i professori o gli amici di quello che succede, provando a risolvere al meglio insieme il problema.
Perché, come dice Caparezza, il cantante preferito di Antonella, c’è sempre una chiave per trovare la via d’uscita dalle difficoltà.

Chiara Clemente e Davide Portoghese
SS Michelangelo, Bari

NO MASCHERE

Ciao a tutti, sono Fabio e ho 12 anni. Quest’anno è stato molto strano per me.

Ma partiamo dall’inizio… Era ottobre e la scuola era appena iniziata. Ero abbastanza contento di rivedere i miei amici, ma di questo pensiero mi sono subito pentito.

Era arrivata una nuova ragazza in città, Serena, ed è subito diventata molto popolare.

La popolarità le aveva evidentemente dato alla testa, perché ha iniziato subito a trattare male tutti, me compreso. Ci stavo molto male, perché Serena non era sola, tutta la classe le andava dietro e nessuno ormai parlava più con me. Ero solo e piangevo tutte le notti ripensando alle parole come “NERD, SFIGATO, STUPIDO, INCOMPETENTE, GRASSO…” che mi trafiggevano il cuore quotidianamente. Ho scoperto solo in seguito, che anche la vita di Serena non era tutta rose e fiori, stava attraversando una brutta situazione familiare: il padre era stato arrestato per le continue violenze domestiche sulla moglie e sulla figlia, che preferiva coprire lividi e problemi con una maschera di trucco e tanti follower. Anche se, i suoi social, erano ricchi di insulti e offese verso gli altri. Inoltre, Serena usava le persone e le ricopriva di insulti quando non le servivano più, come successe a Marco. Marco era un ragazzo gentile e disponibile, gli piacevano i videogiochi, i fumetti e il calcio. All’arrivo di Serena, anche lui era stato influenzato dal fare arrogante che la caratterizzava. Ma è stato uno dei primi ad essere stato scaricato. Anche lui era triste e sconvolto dalla perdita di tutti gli amici. Così decisi di parlargli. Diventammo subito amici e decidemmo di combattere contro il carattere aggressivo di Serena. Così le parlammo, ma invano: lei continuò per la sua strada! Col passare del tempo, anche altre persone diventarono tristi a causa del suo comportamento. Così decidemmo di parlare con loro e accettarono di aiutarci. Allora decidemmo che il nostro era un gruppo contro il bullismo, che si sarebbe chiamato “No Maschere”. Iniziammo a fare cartelloni, post sui social e a mettere bigliettini sul banco di Serena per farle notare, ancora una volta, che il suo atteggiamento era sbagliato. Ma lei, imperterrita, continuò, con le sue poche amiche, a usare persone e ad escluderle. Allora facemmo il grande passo: le scrivemmo da un numero anonimo, chiedendole di andare nella sala riunioni della scuola. Lei, abbastanza titubante, chiese informazioni, ma noi non le rispondemmo minimamente. Serena arrivò in sala riunioni assieme a sua madre, e spiegammo l’accaduto ad entrambe. Serena scoppiò in lacrime tra le braccia della madre, chiedendoci scusa e aprendosi con noi, spiegando tutto ciò che stava passando in famiglia. Noi rimanemmo straniti, perché Serena ci era sempre parsa sicura di sé e senza alcun tipo di problema. Ci riunimmo in un abbraccio di gruppo, con Serena al centro, e scesero molte lacrime. Le sussurrammo che la avremmo aiutata e supportata in qualunque evenienza e che non c’era bisogno di mostrarsi sempre con una maschera. Allora arrivò Sofia, una delle sue amiche più fidate, che avevamo chiamato in precedenza, con del cotone e dello struccante che porse a Serena. Finalmente, quest’ultima si mostrò per quella che era. Tutti si meravigliarono della sua bellezza naturale. Uscimmo dalla sala e rientrammo tutti nelle rispettive classi. L’indomani, chiedemmo di parlare con gli insegnanti e con la preside e loro furono felici del gesto che avevamo fatto per aiutare la nostra amica, così organizzarono una festa per Serena in cui venne invitato anche uno psicologo. Tutti noi addobbammo la sala con palloncini, festoni e cartelloni, che facemmo apposta per lei. Il grande giorno, la chiamammo e la portammo, bendata, nella sala. Lei si emozionò e iniziammo a sparare coriandoli e ad abbracciarla. Verso la metà della festa, la facemmo avvicinare a Ludovico, lo psicologo, con cui si confidò. Ludovico le diede tanti consigli e da quel giorno, Serena diventò una persona migliore.

Macbeth De Franchi – Elena Trotta
SS Michelangelo, Bari

Amare per quel che si è e non per quel che si ha

Sentirsi partecipi di un gruppo
sentirsi uguale a tutti
due virtù in fase di sviluppo
artefici di giovani distrutti.

Torture frequenti
e ripetuti tradimenti
son segni crudeli
di amicizie infedeli.

Amare per quel che si è
e non per quel che si ha.
Amare per quel che si è
e non per quel che si diventa.

Nascondere è facile vero
amare una persona fragile meno.
Chi ha sofferto non dimentica
ma cerca compagnia autentica.

Davide Torres
SS Michelangelo, Bari

Cambiare prospettiva

“(Devo) riuscire a farmi accettare così come sono da almeno tre persone”. La frase mi devasta. Un brivido mi scende lungo la schiena e il mio cuore sembra fermarsi per un secondo. “Tre persone”: questo numero continua a rimbombarmi nella mente fino a notte fonda, quando le mie preoccupazioni prendono il sopravvento e la tristezza non lascia spazio ad altri pensieri. Fisso il soffitto ad occhi spalancati e appena una lacrima salata tocca la mia pelle, le mie preoccupazioni svaniscono per lasciar spazio ad una sola questione: perché piango?

Piango perché mi ritrovo in quelle parole, in quel numero.

Di colpo un flashback nella mia testa. Tutto sembra confuso, tutto diventa scuro, respiro a malapena, e poi, il vuoto. Mi tornano nella mente tutti i messaggi, tutti gli insulti. Tutti i pianti, gli occhi rossi, tutti i pasti saltati. Il costante voler piacere alle persone così come sono. L’eco del silenzio. È passato esattamente un anno da quei messaggi; in quest’anno ho imparato che basta una persona, una parola o un momento per aprirti gli occhi e cambiare la tua prospettiva.

Cecilia Fersini
SS Michelangelo, Bari

Il numero perfetto

23 maggio 2022

Caro diario, non so perché ti chiamo così: boh, forse questa è una cosa da fr…

Come avrai già capito, non è un complimento. È una parola astiosa. È un insulto. In classe la utilizzano spesso per schernirmi e mettermi all’angolo. Dovrei fregarmene, ma non ci riesco, temo di essere sbagliato; è vero, mi piacciano i ragazzi (come fidanzati, dico), ma questo dovrebbe riguardare solo me e invece quelli come me sui social vengono costantemente attaccati dai “normali”. È facile per loro, sono maggiori di numero, non visti male da nessuno, possono amare tranquillamente. E se avessero ragione? Se fossi davvero strano, o peggio, sbagliato? Poi ci ripenso e mi dico che no, non ne sono del tutto convinto. Che confusione! Non so ancora chi sono: forse mi piacciono le ragazze e lo devo capire, forse non ho trovato quella giusta. Sta di fatto che voglio smettere di farmi mettere i piedi in testa, di essere emarginato dagli altri, di essere “il gay di m….. che ha solo amiche femmine e si pitta”. Oppure non sono sbagliato e sono solo debole, non come quelli che vedo su Instagram e TikTok, forti e che sanno resistere a certe cose.

Vabbè, sai che faccio? Io gli dico di essere etero (ai miei compagni di classe intendo), forse un giorno cambieranno, o almeno non li rivedrò più, oppure imparerò a gestire gli insulti. Comunque non riesco a comprendere bene come si possa essere sbagliati o odiare chi ama, o come si possa non considerarlo amore dato che per me l’amore è sempre uguale: chissenefrega se tra due uomini, due donne, un uomo e una donna.

È sempre AMORE e siamo tutti, sempre e semplicemente PERSONE.

Però io per quegli insulti ci sto male: mi passa la fame, riesco solo a piangere e piangere.

24 maggio 2022

Caro diario, rieccomi. Mi piace scrivere i miei pensieri sulle tue pagine, forse sono le uniche a conoscermi davvero. Alla fine era più semplice di come pensassi: bastava fingere di essere etero, non truccarsi, vestirsi “normale”, parlare di calcio e di ragazze e soprattutto disprezzare gli “anormali” come me. Alla fine così vengo accettato, o meglio LUI viene accettato, quel lui che ama il calcio e le ragazze, io no. Io vengo ancora definito un “gay di m…, schifoso ed effemminato”. Devo farmi accettare come sono da almeno 3 persone.

Sì, tre. Per cominciare (o per continuare?), tre è il numero perfetto.

Emilia Casarano
SS Michelangelo, Bari

DOBBIAMO ESSERE NOI STESSI

La frase di Antonella, in un certo senso, la capisco benissimo. Infatti farsi accettare per come siamo non è affatto semplice. Molte volte tendiamo a farci piacere le cose che vanno di moda o che comunque piacciono agli altri per essere “accettati”.

Accettare, non dovremmo neppure pensare di farci accettare dagli altri, perché noi siamo fatti in un certo modo e le altre persone non possono cambiarci. Anche io mi trovo in situazioni in cui mi devo adattare alla massa per non essere esclusa: tendo ad ascoltare canzoni che non mi piacciono per non risultare “quella strana”; se mi chiedono i voti che ho preso tendo ad abbassarli per non passare per una secchiona oppure nascondo alcuni miei interessi o addirittura mento per uniformarmi ai gusti degli altri. Certe volte mi trovo in situazioni dove con un gruppo faccio finta di amare una cosa, mentre con un altro faccio finta di odiarla quando, magari, semplicemente non mi interessa. Ecco, tutto questo è sbagliato. Se a me piace un genere musicale diverso dagli altri, mi piace leggere e vado bene a scuola non devo cambiare, perché sono fatta così. Poi “gli altri”, chi sono questi altri? Probabilmente persone nella mia stessa situazione che fanno finta di amare cose che odiano. Paradossale, no? Forse, se fossimo autentici, potremmo riconoscerci. Forse, come suggerisce Antonella, basterebbero tre persone per uscire dalla prigione della finzione e della solitudine. Nessuno dovrebbe reprimere i propri interessi solo per paura di non essere compreso. Ma bisogna avere coraggio e non pensare al giudizio degli altri.

Nessuno è riuscito ad aiutare Antonella, ma lei sta aiutando noi: dobbiamo rimanere noi stessi.

Sara Di Sarno
SS Michelangelo, Bari

Notte prima degli esami

Mi chiamo Maria Chiara, ho tredici anni e domani ho i primi esami della mia vita.

Sono sempre stata una persona ansiosa, ma ultimamente nelle mie giornate c’è qualcosa – o meglio qualcuno – che mi trasmette un grande senso di paura: inizio a pensare che sia un mostro. Ho provato a raccontare tutto ai miei genitori, ma nulla da fare, credono soltanto che sia pazza. Allora come faccio a vederlo e a sentire la sua voce? Impossibile che sia semplicemente frutto della mia immaginazione. Ogni giorno lo vedo sempre più frequentemente: mi urla addosso, mi dice di ritirarmi, che durante l’esame tremerò così tanto che la gente mi prenderà sempre in giro e che tutti mi guarderanno male. Ho sempre avuto paura di parlare davanti a tanta gente… Lo vedo anche ogni notte, nei miei incubi: sogno di dover combattere contro di lui. Io però non ce la faccio, quel mostro è troppo per me. Ha sempre lui la vittoria, ed io per punizione muoio ogni notte. Durante il conflitto notturno, utilizza un’arma terribile: mi intrappola in una sfera, in cui improvvisamente appaiono tante scene diverse; in ognuna devo parlare all’interno di una stanza completamente buia, nella quale vedo solo mille occhi puntati su di me. Capite adesso come faccio sempre a perdere? Ogni notte va a finire che dico sempre la stessa frase: «Basta per favore, non riesco a stare qui!». È lì che quel brutto mostro mi cattura con le sue giganti mani, portandomi alla sconfitta, quindi alla mia morte temporanea. Ogni notte muoio e ogni giorno perdo la fiducia in me stessa, per le continue urla di quell’essere che non fanno altro che scoraggiarmi.

È la notte prima degli esami e non riesco a dormire, perché questo pomeriggio ho scoperto di non essere l’unica a “immaginare” queste cose. Verso le sei ho acceso il telefono e ho visto un’enorme quantità di messaggi sul gruppo WhatsApp della mia classe. Ho letto che anche i miei compagni hanno visto dei mostri ultimamente, e ne sono rimasta stupita: anche loro sono perseguitati dalle frustranti urla che sento io, ma li scoraggiano diversamente. Per esempio la mia compagna Simonetta è tartassata dalla frase «fallirai prima o poi»; il mio compagno Federico dalla frase «deluderai tutti». Non riesco a capire perché siano spaventati da stupidaggini del genere! Però, quando ho rivelato loro il mio mostro, mi hanno presa in giro dicendo che non è così tanto pauroso. Ognuno ritiene il mostro dell’altro stupido.

Sono le 21:30 circa, e il mostro non si è più fatto vivo da un’ora. Io, però, non mi faccio ingannare da questa strana aria di tranquillità: sento che sta per accadere qualcosa. Decido di chiamare Carlotta, una mia compagna di classe molto intelligente: sicuramente lei saprà dare una spiegazione a tutto. Inaspettatamente, mi risponde al telefono con una voce tremante, come di qualcuno che sta cercando di trattenere il pianto: «M-Mari, t-tu mi credi? Ho visto questo strano essere, mi ha detto che durante l’esame scorderò tutto. Ormai è da quasi un’ora che non si fa sentire, ma ho p-paura che torni. Tu mi credi?». Improvvisamente il telefono si spegne, pur essendo carico. Non ho potuto neanche rispondere per consolarla. Fuori dalla mia finestra la città è deserta. Sento che sta per succedere qualcosa mentre il sonno mi prende, come se il mostro mi stesse obbligando ad andare a letto per teletrasportarmi nel mondo dei sogni a combattere.

Adesso è mattina. Un attimo, è mattina? Com’è possibile? Non è successo nulla questa notte. Magari è tutto finito! Mi sento sollevata da un peso, finalmente pronta per gli esami. Alle 8:30 arriva il mio turno per l’orale. Per i primi tre minuti va tutto bene; a un tratto però non riesco più a vedere i professori, sebbene senta le loro voci. In quel momento lo vedo: è il mostro. È diverso dal solito, è enorme, sembra la somma di tutti i mostri dei miei compagni e del mio. Sto urlando, ma gli insegnanti non mi sentono, sentono solo cose riguardo all’esame. Sto chiedendo aiuto, ma nessuno mi sente. Improvvisamente mi trovo nella sfera ricoperta di occhi, che ora sembrano gli stessi dei miei professori. In più, stavolta il mostro è dentro la sfera e le sue urla rimbombano ancora più forti: usa contro di me anche le paure dei miei compagni, e insicurezze che non dovrebbero avere nulla a che fare con l’esame, persino quella sul mio aspetto fisico. Non è giusto!

A un tratto vedo la mia amica Laura, che fa strada a tutti i miei compagni di classe

portandoli da me. Mentre sto per terminare la mia solita frase – «Basta per favore, non riesco a stare qui!» – vengo interrotta dai miei compagni, che mi lanciano un’arma per lottare insieme a loro. È un’arma diversa dalle altre: un paio di cuffie, con le quali sento la mia stessa voce che mi incoraggia. Ho l’impressione che stiamo lottando tutti insieme per il nostro esame, nella stessa sfera; probabilmente però ognuno di noi si vede circondato da paure diverse. C’è una gran confusione, sento tante voci: la mia che proviene dalle cuffie, quella del mostro, quelle di incoraggiamento dei miei compagni, e quelle dei miei professori che continuano a farmi domande. Contemporaneamente cerco di rispondere alle domande d’esame: è così faticoso, a causa di tutto ciò che sta succedendo dentro di me. All’improvviso, il frastuono si ferma: una professoressa mi dice «Complimenti, hai superato l’esame!», mentre una voce robotica afferma «Sfida completata».

Mi sveglio nel mio letto e guardo l’orario sul cellulare: sono le tre. Quella che sembrava la realtà era soltanto un ultimo incubo. Finalmente sono riuscita a sconfiggere il mostro che era dentro di me. O, per meglio dire, ci siamo riusciti tutti insieme. Adesso ho capito: ognuno di noi ha un mostro nella propria testa, che tende a scoraggiarci, a farci credere di non essere mai abbastanza. Solo comprendendo i mostri degli altri sono riuscita a superare il mio. Ma, un secondo… perché mia sorella sta parlando nel sonno dicendo

«basta per favore, non riesco a stare qui»?

Maria Chiara Favale
Istituto Preziosissimo Sangue, Bari

Giorgia Dicarolo
IC Montello-Santomauro, Bari

ME STESSO PIU’ DUE

L’amicizia a dodici anni è molto, se non tutto: hai bisogno di qualcuno della tua età con cui confrontarti, perché i genitori non ti capiscono e sminuiscono i tuoi problemi. Per loro l’adolescenza è l’età della spensieratezza, un periodo felice, e tu sei un ingrato se non lo capisci!!

Per questo, avere un punto di riferimento che abbia la tua età e viva le tue stesse situazioni, è fondamentale. Tutti diciamo “punto di riferimento”, ma gli amici sono preziosi anche solo per scherzare, ridere e stare bene: distrarsi dai problemi, insomma.

Proprio perché è così importante, quando l’amicizia viene a mancare per qualche motivo, ci sentiamo soli, e sembra che tutto crolli.

A dodici anni si vuole essere come gli altri: nell’aspetto fisico e nel carattere, perché una persona diversa viene etichettata come “strana”, cioè sbagliata. Sono gli altri che pensano questo o siamo noi che lo pensiamo? Perché dobbiamo farci accettare dagli altri? Come se gli altri fossero migliori di noi. A nessuno dovrebbe servire l’approvazione di qualcuno per stare bene, ma solo la propria.

Eppure …A volte i nostri coetanei, o “amici”, anche, ci fanno sentire inadeguati: veniamo derisi per un voto, per il modo con il quale ci approcciamo agli altri, per il modo in cui gestiamo le nostre relazioni, per come ci piace vestirci, per il nostro fisico e ovviamente il nostro carattere: sei timido, non sei capace di fare bene, non ti impegni abbastanza, non vali, insomma…

Allora essere come si è davvero diventa difficile e si vorrebbe cambiare, non per necessità ma per paura.

A volte si inizia a non mangiare: prima si comincia dalle piccole cose, anche la banale merendina a scuola viene tolta perché spesso c’è qualcuno che ti fa notare quanto sei grasso, anzi, “che sei una balena”, che hai le cosce enormi, il viso tondo, il naso con la gobba, la pancia. Per loro è sempre ironia e tu sei talmente stupido che non la comprendi, dicono, così, ecco, sei ancora più sbagliato: una balena con le cosce enormi, il viso tondo, la gobba sul naso e anche una buona dose di stupidità!!!

Ovviamente tutto questo ti viene detto anche sui social, alla “presenza” di un numero indefinito di persone che, magari, sono anche quelli bravi a scuola, perfetti, che nessuno mai si sognerebbe di ritenere responsabili della sofferenza di altri. E le parole diventano lame che ti entrano nella carne, anzi, a volte anche peggio di lame …

E qualche volta le lame le fai diventare materiali e finisci per farti del male da solo … Sempre per essere diverso, migliore, perché così non vai bene. Allora ti metti una maschera che cerca di nascondere la tua vera natura e ti spinge a apparire chi non sei. Ma così gli altri chi vedranno??? Diventa tutto un gran pasticcio … Tu non mostri più te stesso e quindi come possono gli altri accettare ciò che c’è più? O che c’è ma sepolto in un cumulo di filtri ?

Gli amici … quando soffri e stai male li cerchi disperatamente, a volte non li trovi. E’ come se la tua sofferenza allontanasse gli altri. Oppure sei tu che ti allontani perché non la accetti?

Proprio quando hai bisogno di aiuto, ti escludono, spesso ignorandoti. Oppure sei tu che non vuoi stare più con gli altri perché ti ritieni sbagliato?

Molti senza conoscerti ti giudicano, partendo da come ti vesti: sembrerà impossibile ma l’abbigliamento è tanto importante, così come le fotografie che magari i tuoi genitori hanno pubblicato di te sui social pensando che siano carine ma che ti ridicolizzano agli occhi dei tuoi amici; così come le voci di corridoio: se si sparge la voce che sei perdente, finirai per sentirti tale …

A dodici anni non si riescono ad accettare le proprie insicurezze, o meglio: quando si è da soli si riesce a convivere con queste, ma quando ci sono gli altri NO! Inutile ogni tentativo! Al massimo fai una faticaccia, arrivi quasi a dirti che tutto sommato vai bene così, ma poi … arriva sempre quella persona che ti fa crollare tutto …

Devo farmi accettare da almeno tre persone: la prima, la più importante, e forse la più difficile da “convincere” siamo noi stessi. Noi stessi, ecco … E noi riusciamo ad accettare tre persone così come sono?

“Certo”, diciamo tutti in risposta a questa domanda. Ma ne siamo sicuri? Oppure anche noi accettiamo ciò che degli altri ci piace, né più né meno di come fanno loro con noi?

Forse, se riusciremo ad accettare noi stessi e la nostra fragilità come un valore, saremo capaci di accettare anche gli altri. Non è facile da spiegare ma più la paura di non essere accettati ci prende, più gli altri non vedranno il vero noi e noi non ci sentiremo accettati. E allora?

Non c’è una chiave , o forse la chiave è la ricerca della chiave …

Classe II C
IC Zingarelli, Bari

Ragazzo bullizzato


Un gruppo di bulli viola la privacy di un ragazzo di Palo del Colle


Il 19 maggio 2022 è stata violata la privacy di un ragazzino, nella cittadina di Palo del Colle in provincia di Bari, che ha risolto tutto grazie ai genitori e ai docenti che hanno denunciato l’accaduto.
Il pomeriggio del 20 maggio 2022 sono stati denunciati un gruppo di ragazzi che hanno bullizzato e violato la privacy di un ragazzino di soli 12 anni.
Il ragazzo stava facendo un semplice TIK TOK, ma alcuni ragazzi di nascosto hanno filmato la vittima mentre ballava. Il giorno dopo a scuola il ragazzo era sotto lo sguardo derisorio di tutti perché il video era stato inviato su tanti gruppi whatsApp.

II ragazzo non ha mollato e ha raccontato tutto ai docenti e ai propri genitori.
In caserma, il ragazzo ha raccontato l’accaduto ed i bulli sono stati scoperti, ma soprattutto hanno chiesto scusa al ragazzo pubblicamente.

DENUNCIARE resta la forma più audace e semplice per combattere il bullismo.

Michele COLAIZZO
Vito Carlo DE BENEDICTIS
Francesco MILANO
Angelo VALENZANO

IC Antenore – Guaccero, Palo del colle

VORREI FARMI ACCETTARE


VORREI FARMI ACCETTARE,
MA NON SO COME FARE.


VORREI CAMBIARE
COSì TUTTI MI POTRANNO SOPPORTARE.


NON VORREI ESSERE GIUDICATO
MA SOLO RISPETTATO.


VORREI ESSERE AMATO
E NON EMARGINATO.


VORREI ESSERE ACCETTATO
E NON PIÙ ODIATO.


FORSE NON POSSO FARE PIÙ NIENTE
OPPURE DOVREI USARE LA MENTE?


FORSE DOVREI FARMI NOTARE
E NON PIÙ IGNORARE.


SOLO COSì SAREI ACCETTATO?


CONTO FINO A TRE…
UNO,
DUE,
TRE.

MICHELE BASSI
ALESSANDRO ORODISIO
IC Antenore – Guaccero, Palo del colle

DEVO RIUSCIRE A FARMI ACCETTARE COSÍ COME SONO DA ALMENO TRE PERSONE (Monologo)

Ah, che schifo lo stereotipo del ragazzo perfetto! Perché anch’io devo essere come lui?

È ignorante, senza cervello eppure è un idolo… Perché ha i muscoli e il ciuffo.

Non voglio essere come lui, ma nel ventunesimo secolo per sopravvivere devi essere quello che non sei, quindi, devo.

A scuola è un inferno, mi dicono cose come “se mangiassi di meno saresti perfetto!” oppure “perché non ti curi i capelli?” o ancora “i brufoli e l’apparecchio fanno schifo! Sembri un mostro!”

Per non parlare dei nomignoli, che ormai fanno parte di me, una lunga lista facilmente paragonabile a quella della spesa: noiosa, banale, incomprensibile. Io lo so che non dovrei dar loro retta ma… forse hanno ragione, sono io il problema.

Forse devo iniziare a comprare vestiti di marca e farmi figo, così sarò accettato.

Con questa pandemia usiamo le mascherine e riesco a gestire l’acne che per me è una fra le mie più grandi insicurezze per via di quello stupido del mio compagno di scuola che, ogni volta, nel suo dialetto fa le solite battutine per far ridere la classe… pensate quanto sia stato bello avere un compagno che ti ricopre la faccia con l’igienizzante dicendo che lo scempio sul mio viso sarebbe andato via!

Vorrei tanto aver il coraggio di poter parlare, dire quel che mi passa nella mente, forse dovrei cambiare? Odio essere cattivo con me stesso ma forse dovrei incominciare ad andare in palestra, ogni giorno davanti allo specchio non vedo me, ma un vero mostro, con quei chili e quella pancia ingombrante, brutta e fastidiosa. “Ma ti sei visto?” si, forse adesso sto incominciando a vedermi come mi vedono gli altri, un nerd ciccione, tonto , con le bolle in faccia e i capelli unti come olio d’oliva.

Non vorrei ascoltare quelle voci insopportabili nella mia testa ma ormai quella stupida bilancia non la vedo da 1 anno e 5 giorni e quei mostri dentro me continuano a parlare, davvero, ci ho provato, con tutto me stesso, ma adesso preferirei dormire e non risvegliarmi più, ormai non posso nascondermi più da tutti, non posso chiudere gli occhi e immaginare una vita perfetta, devo vedere la realtà. Questo sono io e questa è la mia schifosa vita.

Aspetta, ma davvero sono io quello che parla? Adesso basta!

Non sono io quello che deve cambiare, non sono io quello sbagliato, non sono più me dicendo queste cose.

Adesso la smetto, non sono soltanto quelle stupide parole, sono più di quello che gli altri dicono, ho la “pancia”, si è vero, ma da quando essere grasso è simbolo di bruttezza? Chi lo dice che sei bello solo se hai i muscoli? La gente? Uno dei tanti e stupidi pareri degli altri?

Voglio sentirmi libero di essere non uno stupido ciccione con tante altre parole ma soltanto me.

Io sono questo, e adesso lo dico sia a voi che a me, io sono questo e lo dovete e lo devo accettare.

Da adesso incomincio ad amarmi.

A guardarmi davanti allo specchio e dire “questo sono io”.

Questi stupidi stereotipi nel mondo di oggi non dovrebbero esistere, io nel mio piccolo voglio farli sparire, quindi, tu, ragazzo, ragazza, uomo, donna, mamma o chi vuoi essere, so che stai leggendo, siate liberi di poter dire “questo sono io, grasso, magro, basso, alto, brutto, nerd, ma sono io e devo amarmi così come sono”

Questo è l’insegnamento che voglio tramandare tramite le mie parole.

Non siate sottomessi da queste sciocche voci e da questi noiosi stereotipi, perché ricorda l’unica persona che sei destinato a diventare e la persona che decidi di essere.

Ora a scuola ho scacciato via tutti quei pensieri e i bulli sono decisamente di meno, ho iniziato ad ignorare gli sguardi schifati, le risatine quando passo e tutti i nomignoli.

Sto meglio e lo so, ne sono consapevole, inoltre tre dei miei compagni mi hanno sorriso! Posso essere felice!

Anita Andriola
Silvia Andriola
Giada Guida
IC Antenore – Guaccero, Palo del colle

Sei perfetto così

Ai miei amici, che hanno cambiato

la trama della mia vita

<<Che ne dici di uscire con noi sabato sera?>>

Non avrei mai pensato di sentire quella domanda in vita mia, eppure era tutto vero.

<<I…io??>> domandai con un filo di voce, incapace di dire altro.

<<Sì!>> trillò la ragazza che mi sedeva accanto <<Allora? Va bene?>>

Dopo aver concluso la giornata scolastica ritornai a casa, tolsi le scarpe e le appoggiai con attenzione nella piccola scarpiera sistemata all’entrata dell’alloggio. Non era spaziosa come casa, ma era perfetta per la mia famiglia.

Mi incamminai per raggiungere la mia camera e sentii uno strano scricchiolio provenire dalle scale di legno. Pensavo ininterrottamente a quell’invito che i miei compagni di classe mi avevano proposto. Non avevo risposto, un po’ per paura, un po’ perché era insolito che mi invitassero per uscire. Sin da piccolo sono sempre stato un bambino introverso e ho sempre avuto difficoltà a fare amicizia con i miei coetanei. Lo desideravo così tanto che per un momento ebbi il dubbio di essermi addormentato e di stare a sognare.

Toc toc. Un visino gentile bisbigliava sulla soglia e sembrava dirmi che aveva tanta fame. Un brontolio riempì quella stanza rompendo il silenzio e, dopo qualche secondo, scoppiai a ridere. Dopo aver dato da mangiare a mio fratello, salii in camera e iniziai a studiare e a svolgere i compiti per il giorno successivo.

Il mattino seguente, a scuola, rincontrai quella ragazza che mi aveva parlato il giorno prima. L’ombra degli alberi tagliava il suo volto in due metà e, solo allora, mi accorsi che era più alta di me di qualche centimetro. I suoi occhi lucenti di color madreperla tendente al grigio mi stregavano a tal punto da catturare la mia attenzione. “Dagli occhi si percepisce l’animo delle persone”, dai suoi vedevo la bontà che trasmetteva agli altri senza minimo sforzo. Il suo sorriso, radiante e solare, bruciava come una fiamma impetuosa.

Aveva un viso genuino e i suoi capelli mossi color miele rendevano il tutto più bello. I ragazzi la guardavano ammaliati, lei era speciale, ma non lo capiva.

Evie stava parlando con la sua migliore amica, Josephine.

Jo aveva lineamenti duri, occhi chiarissimi nel quale ci si poteva specchiare, capelli afro lunghi e un’ossessione per le collanine dorate. Con il suo filiforme metro e settantacinque non passava inosservata. Era figlia di uno degli uomini più importanti del paese che, dopo aver sposato una donna di colore, aveva iniziato a combattere contro il razzismo, un uomo da ammirare sotto molti punti di vista. Il fidanzato di Josephine, Sam, aveva capelli folti e neri e due occhi profondamente scuri. Voci di corridoio raccontavano che il padre di Jo per poco aveva avuto un infarto quando aveva visto per la prima volta Sam. Ormai era abituato a quella figura che ogni mattina trovava sotto il porticato quando accompagnava sua figlia a scuola con l’automobile.

Il giorno seguente presi coraggio e confermai loro che sarei uscito il sabato sera. Erano felicissimi. Ritornai a casa dopo le lezioni e iniziai a rovistare nell’armadio. Che vestito avrei potuto indossare?

In quel momento qualcuno suonò alla porta. Un brivido attraversò il mio corpo. Dei passi risuonarono sul pavimento, un uomo alto si avvicinò a mio fratello e lo abbracciò intensamente. Le lacrime mi pizzicavano le palpebre, il cuore si spaccò con un dolore diverso dal solito, un dolore dolce che profumava di un amore sconfinato. Era mio padre! Corsi tra le sue braccia e scoppiai in un pianto di gioia. Non lo vedevo da tempo.

<<Mi sei mancato!>> dissi. E lui mi accarezzò piano la testa. Gli raccontai tutto quello che avevo fatto: i viaggi con la nonna, il mio andamento scolastico, tutti i libri che avevo letto e le mie vacanze. Quando lo misi al corrente che finalmente sarei uscito con alcuni miei coetanei vidi nel suo volto qualcosa di diverso, era felice, ma sapevo che in realtà non lo era davvero. I suoi occhi erano spenti, dopotutto si era sempre dato la colpa del fatto che non facessi amicizia con nessuno. Mia madre era venuta a mancare a causa di una grave malattia.

“La perdita di qualcuno a cui tieni tanto deve fare proprio male” dicevano i miei compagni di classe e io mi sentivo osservato, mi sentivo in una gabbia. Allora ricordavo lei che con un tenero sguardo mi diceva “Sei perfetto così”.

Tre ore prima dell’incontro aprii l’armadio e iniziai a cercare. Dopo continui ripensamenti, decisi per una maglietta né troppo elegante né troppo classica. Era nera con un disegno indecifrabile. Era perfetta. Mi feci prestare da mio padre un pantalone con una catenina che mi calzava a pennello. Indossai una giacca che mi squadrava le spalle e sistemai con una spazzola i miei capelli rossi. Ero pronto. Uscii di casa e arrivai in orario al luogo dell’incontro. Mi sentivo molto in imbarazzo, ma cercai di non farlo notare. Insieme ci recammo in pizzeria. Per me era la prima volta in compagnia di amici.

<<Vorrei una margherita, grazie>> dissi guardando il cameriere che sembrava andare di fretta.

<<Qualcos’altro?>> balbettò prima di spostarsi all’altro tavolo. Non feci in tempo a rispondere che già lo vidi dall’altra parte della stanza.

Evie mi guardò e scoppiò a ridere. La sua risata era contagiosa: il battito del mio cuore iniziò ad accelerare e rimasi attonito con il petto che vibrava. Con loro mi sentivo a casa e al sicuro. A fine giornata mi chiesero se volessi uscire di nuovo con loro e una gioia improvvisa scalfì il mio dolore. Gli amici sono la cura di ogni ferita aperta, per quanto ci crediate o meno, è la verità.

Alessandro Mignozzi
IC De Gasperi – Stefano da Putignano, Putignano

Simile alla luna

Fiocchi di neve cadevano leggeri. Alcuni raggiungevano il suolo sciogliendosi, altri rimanevano intrappolati tra le foglie imbrunite. Se un fiocco di neve potesse rimanere sospeso, tra cielo e terra, quello sarei io.

Nessuno conosce la mia vera natura. Nessuno sa quante volte ho dovuto trattenere le lacrime, quante volte sono stata sul punto di scappare da tutto e mettere termine al mio dolore, ma alla fine è stato sufficiente solamente usare una maschera.

Io e mio padre avevamo deciso di trasferirci in Florida, per il suo nuovo lavoro. Era felice di lasciarsi dietro il suo passato e di iniziare una nuova vita, io ero orgogliosa di lui.

Mia madre era morta quando avevo solo nove anni. Mio padre aveva sempre avuto paura che questa perdita potesse diventare un trauma psicologico per me, ma col passare degli anni ci avevo fatto l’abitudine e la sofferenza era diventata pian piano il mio migliore amico.

«Mi hanno sempre detto che devo trovare il coraggio, io l’ho cercato, l’ho cercato, io l’ho cercato anche troppo; poi mi sono accorta che era depositato nelle radici del mio cuore e nelle maree della mia mente, ma io il coraggio di lasciarti andare non lo troverò mai».

Il mio cuore è sobbalzato quando la portella della macchina si è aperta di scatto. Gli occhi hanno messo a fuoco e ho realizzato che eravamo appena arrivati. «Stavi dormendo? Scusa, non volevo svegliarti», la voce calda e confortevole di mio padre risuonava nelle mie orecchie come una melodia silenziosa. Ero un po’ assonnata. «Cosa? No no, semplicemente non mi ero accorta che siamo già arrivati» risposi. Uscendo dalla macchina mi sono guardata un po’ intorno e sono rimasta ammaliata dalla bellezza di quel posto.

La casa che papà aveva affittato per telefono la immaginavo un po’ diversa, certo non era la baita tra i boschi che avevamo in Alaska, però questa era davvero… splendida.

Faceva molto caldo, mi pentii di aver indossato un maglione prima di partire. La nuova casa si estendeva verso la foresta e la costa, sovrastata dalle onde. Dentro era molto spaziosa. C’era anche un pianoforte, che ho sempre voluto imparare a suonare.

Dopo aver sistemato i vestiti nell’armadio, mi sono persa a guardare il tramonto fuori dalla finestra. Il sole era stanco, voleva riposarsi, così ha lasciato spazio alla sua amata, la luna. Anche io avevo bisogno di riposarmi forse, ma la mia mente era incollata lì, in quel cielo, spennellato dalla mia anima e scolpito dalle mie emozioni, che si rifletteva persistente nelle onde del mare. Mi sembrava ancora di vederla lì.

Mai provata l’ansia da primo giorno di scuola? Ecco, io stavo per riviverla. Non era il quarto anno a spaventarmi, ma con chi dovessi trascorrerlo. Sarei riuscita ad ambientarmi? Avrei fatto amicizia con qualcuno?

Da quando ho ricordo, persino alla scuola elementare venivo trattata come la ragazza “diversa”.

È così strano vivere nei boschi e isolarsi da tutti? È davvero così brutto essere ricoperta da macchie chiare sul viso candido? Le mie lentiggini sono sempre stata causa di insicurezze e prese in giro. Per non parlare dei capelli. Alle medie uscivo di casa solo con le trecce, non riuscivo a vedermi senza.

Sono sempre stata quella strana. Le cose sarebbero mai cambiate?

Vedere i corridoi stracolmi di persone mi mette in soggezione; sin da piccola, soffro di ansia sociale, per questo evito spesso ogni contatto col mondo esterno, al di fuori di mio padre ovviamente. È così assurdo ricominciare da capo… ma credo che mi farà bene.

Ed ecco la prima stupidaggine della giornata. Sono andata a sbattere contro un ragazzo quasi il triplo di me mentre cercavo l’aula di chimica. Non poteva andare peggio.

«Scusami, sul serio, non ti avevo visto» ma qualcuno decise di interrompermi: «Chi saresti tu?» notai una punta di interesse nello sguardo di lei. «Sono la ragazza che è arrivata oggi, potete chiamarmi Jules» sorrisi impacciata. Perché dovevo sempre cacciarmi nei guai?

«Io sono Megan» rispose fredda, poi mi accorsi che avrei già dovuto essere in classe. «Oh giusto, io devo andare. Scusa ancora per prima, ci vediamo» esclamai rivolgendomi al ragazzo dalla camicia blu con cui avevo avuto l’onore, qualche istante prima, di fare una figuraccia sulle altre mille della giornata.

Ero già in ritardo per la mia prima lezione, diamine.

La giornata passò in fretta, molto in fretta direi, mi ritrovai subito nel letto con la musica alta nelle orecchie, in questo modo dimenticavo tutto il resto. Mi chiedo se anche gli altri abbiano mai provato a distendersi, per un momento infinito, a contemplare il soffitto, immaginando costellazioni, e a chiudere gli occhi anche solo per un istante. È lì che io mi sento davvero a casa.

Posso dire di essere un po’ simile alla luna, splendente di notte e invisibile di giorno, preferisco rimanere in silenzio a parlare con le stelle invece di mostrarmi spoglia alla luce del sole.

Ho impiegato un mese per ambientarmi completamente nella nuova realtà. Non potevo credere neanche io a tutto ciò, eppure ero riuscita a farmi piacere da qualcuno.

Loro sono David, Megan e Lia; i ragazzi inseparabili sin dalla nascita, amici da sempre, insomma. Li ho conosciuti il primo giorno, me lo ricordo ancora come fosse ieri. All’inizio non avevo fatto loro una buona impressione, ma nei giorni seguenti compresero il motivo del mio frequente isolamento, provarono a parlarmi un po’ di volte, così iniziammo a stringere amicizia.

Ci misi un po’ per fidarmi di loro. Sono cresciuta pensando che tutti ci illudiamo di essere circondati di persone, ma in realtà ognuno di noi è solo e non ha il coraggio di accettarlo. Beh, credo che questo mio modo di pensare sia svanito con il tempo.

L’amicizia è diventata fondamentale nella mia vita. Tre semplici ragazzi mi hanno aiutato nella mia crescita personale e sono rimasti al mio fianco nonostante tutto. Ho capito che un amico non ti offre una spalla su cui puoi appoggiarti, ma due. Un amico è l’unica costante in una vita di variabili e, si sa, la felicità si raggiunge sempre almeno in due. David, Megan e Lia sono persone che reputo importanti nella mia vita, tanto quanto me stessa.

Martina Resta
IC De Gasperi – Stefano da Putignano, Putignano

Io e gli altri

Essere diverso è una virtù,
dovresti capirlo anche tu.
Non devo sembrare avverso,
se mi comporto o mi piace qualcosa di diverso.
Non devo assomigliare a nessuno 
o essere la copia di qualcuno.
Ho le mie idee, i miei gusti e i miei difetti;
smettila, non serve che obietti!
Voglio essere un ragazzo libero e vivere,
senza dover ogni giorno sopravvivere. 
La sofferenza, il giudizio degli altri fa male,
per favore, non devi più giudicare!
Essere messi da parte, perché diversi dalla “massa” fa tanto male,
e giuro, nessuno, lo dovrebbe mai provare.
Nella vita ci vorrebbe molto più amore,
e chi ci sta vicino lo dovremmo avere a cuore.
Bisogna andare contro i pregiudizi, 
per eliminare questi vizi.
Bisogna fare il primo passo verso chi soffre,
per poter andare finalmente oltre.
Solo con un mondo così, ricco di semplicità 
potremmo amarci ed essere tutti felici per l’eternità.

Andrea Bondanese
Istituto Ronchi, Cellamare

BISOGNA FARSI ACCETTARE

Il mondo dovrebbe accettare tutti,
accogliere indistintamente chiunque.
Io accetto loro e loro accettano me,
io sono con loro, loro sono con me.
Voglio essere ogni elemento del mondo,
per essere vicina a tutti.
Voglio essere il mare,
per bagnare d’amore ogni essere vivente.
Voglio essere il cielo,
per osservare dall’alto il cammino di ogni individuo.
Voglio essere il sole,
per irradiare di luce tutto e tutti.
Non voglio cambiare il mio essere,
ma accettarmi e farmi accettare
per come sono.

Angelica Pegna
Istituto Ronchi, Cellamare

Tre persone speciali

Questo mondo è così grande,
ma purtroppo tante persone sono false. 
Nella mia vita vorrei solo qualcuno 
che mi accetti così come sono,
senza essere giudicata ed essere fuori dal coro.
Vorrei essere considerata da almeno tre persone
per non essere mai di malumore
come fosse una dannazione,
ma avere almeno da loro un po’ di approvazione,
scambiando con loro spesso qualche “abbraccione”.
Vorrei qualcuno che mi ami per quel che sono,
senza giudicarmi a priori facendomi provare il senso dell’abbandono.
A volte agli occhi della gente non tutto mostro
a volte viene fuori dal mio interno qualche “rospo”,
ma effettivamente non è vero tutto ciò che dimostro.

Ciò che mi affliggeva l’ho rimosso 
perciò ora sono fiera di ciò che indosso.
Tutti i giorni cammino a testa alta, perché con tre persone speciali oggi sono alla ribalta.

Ilaria D’Ursi
Istituto Ronchi, Cellamare

FARSI ACCETTARE

Farsi accettare da tre persone,
non ci sembra un parolone?
Corpi perfetti, denti smaglianti
sembrano proprio coltelli volanti;
la bellezza niente fa
se poi c’è asocialità.
L’interno conta, non l’aspetto esteriore
in quanto a modo proprio 
ognuno è bello e a nessuno è inferiore.
Se mi amano gli altri, posso amarmi anche io,
penso continuamente,
ma è solo un mormorio della mia pazza mente;
prima amare se stessi,
poi pensare agli altri,
perché come il mondo può apprezzarti,
se tu non riesci neanche a guardarti?
Da tre persone vorrei farmi accettare
per potermi un pochino apprezzare.
Non importa chi essi siano
amici, parenti o un compagno,
ma ne ho veramente bisogno.
Farsi amare ci può aiutare e
dai momenti bui può farci rialzare.

Iris De Matteo
Istituto Ronchi, Cellamare

Io amo il mare

A.- Io sono Antonella.

G.- Io sono Gaia.

A.- Amo leggere diversi generi.

G.- Amo leggere libri riguardanti lo sport.

A.- Amo la musica.

G.-Anche io… ho le note musicali sulla testata del mio letto.

A.- Amo poltrire.

G.- Io amo svagarmi e non stare MAI ferma.

A.- Amo la serie di Sherlock Holmes. 

G.- Amo le serie tv che parlano del lavoro dei medici.

A.- Amo la giustizia.

G.- Invece io spero che giustizia sia fatta per tutti coloro che un’ingiustizia hanno subito.

A.- Amo il mare.

G.- Anche io amo il mare.

G.- Lo so che “passavi ore in acqua, non avevi nessuna paura delle onde o della profondità e sembrava fosse il tuo elemento naturale.”

Parte di ciò che ho scritto precedentemente l’ho estrapolato dal libro “Io sono come il mare” di Antonella Diacono e mi è piaciuta l’idea di confrontarmi con lei e notare come si può essere simili, pur cogliendo sfumature diverse.

Ma la mia attenzione si concentra sull’ultima frase e sul nostro amore comune per il mare.

Ci sono momenti della nostra vita in cui si ha paura delle onde del mare e in alcuni momenti ci facciamo sopraffare.

Ci sono altri momenti in cui abbiamo paura di scovare nella nostra più profonda interiorità.

E quindi ci aspettiamo che gli altri trovino tre motivi per affrontare con noi la paura delle onde e della profondità.

Non dobbiamo impegnarci a farci accettare così come siamo da almeno tre persone, ma sono gli altri che ci dovrebbero accettare per come siamo per almeno tre nostre caratteristiche, belle o brutte che siano.

E quindi a noi splendide creature dedico questa poesia:

Io sono come il mare,
non smetto mai di parlare.
Io sono come il mare,
non smetto mai di ascoltare.
Io sono come il mare,
placido e limpido come il cielo.
Io sono come il mare,
imperturbabile e irrequieto come la tempesta.
Io sono quel che sono,
e sarebbe bello se mi accettassi così come sono.

Gaia Stella De Tommaso
Istituto Ronchi, Cellamare

DEVO RIUSCIRE A FARMI ACCETTARE COSÌ COME SONO DA ALMENO TRE PERSONE

Devo riuscire a farmi accettare così come sono da almeno tre persone
e avere un minimo di comprensione;
divertirmi tranquillamente
senza brutti pensieri per la mente.
Vorrei immagazzinare nuove esperienze,
senza subire alcun tipo di violenze.
Da sola non voglio rimanere
e in una tristezza profonda non voglio cadere.
Avere buoni amici
vuol dire essere felici,
ma essere presi di mira
non è bello mica!
Devo riuscire a farmi accettare così come sono da almeno tre persone,
perché vorrebbe dire ricevere un regalone!
Di questo mi accontenterei,
e, forte, gli ostacoli affronterei.

Serena Bellincontro
Istituto Ronchi, Cellamare

Un nuovo gioco

Oggi faccio un gioco: “devo riuscire a farmi accettare così come sono da almeno tre persone”.

Allora comincio dal presentarmi: mi chiamo Alessio ed ho undici anni. 

Quando incontro dei nuovi amici tiro subito fuori l’asso dalla manica. Parlo della mia musica e degli strumenti che sto imparando a suonare e di quello che vorrei realizzare…. Ma non è sempre facile, vi assicuro. Tante volte ho pensato che agli altri ragazzi non interessi proprio tanto questa mia passione. 

Allora per farmi accettare, penso di parlare della mia passione per i computer, i videogiochi e le chat divertenti tra noi ragazzi e di tutto quello che si può fare con il mondo digitale…. Ma non sempre basta. Magari a loro piace altro e non sono interessati a passare del tempo così.

E poi parlo di quello che mi piacerebbe visitare in un’altra città: un museo, un parco acquatico o di divertimenti…. Ma mi accorgo che, dopo qualche minuto, già parlano di andare a giocare a pallone…

Ed è quando sono così deluso che mi capita di pensare che forse non sono proprio le persone più adatte a me.

Non importa il numero delle persone da cui mi farò accettare. E’ importante invece  trovare degli amici, anche se sono pochi, che abbiano la voglia di ascoltarmi così come io ascolto loro, che pensino ad essere miei amici anche quando li annoio parlando sempre di musica e di strumenti musicali, che vogliano stare con me a chiacchierare anche quando potrebbero andare  a giocare a pallone con altre persone.

Sono queste le persone, forse saranno tre o forse di più, che mi somigliano e che per me fanno tante cose belle, che mi ascoltano quando sono giù di morale, la cui amicizia io ricambierò sempre con affetto e lealtà.  

Alessio Nacci
Istituto Ronchi, Cellamare

Silenzio

Sei fatta di torri di silenzio,
ma il mondo fuori urla.
Il mondo fuori va avanti indifferente.
Sei in attesa di un gesto che non arriverà,
di un sorriso,
di uno sguardo amico.
Convinta di essere sola nel tuo dolore,
hai smesso di lottare
e quando tutto è diventato insopportabile
hai chiuso gli occhi
e voltato le spalle,
per sempre.

Elena De Robertis
Istituto Ronchi, Cellamare

Poeticando: colorarsi di emozioni

https://www.flipsnack.com/yael74/poeticando-colorarsi-di-emozioni.html

Classe IB
IC Savio – Montalcini, Capurso

Per me è importante

Per me è importante il giudizio che hanno gli altri su di me specialmente le persone a cui tengo di più, perché quello che pensano le persone con cui non vado d’accordo non mi interessa molto.

Chi ha paura del giudizio altrui non è libero di fare ciò che vuole perché come me ha paura di venir messo da parte.

Le altre mie due paure sono quella di venir esclusa e quella del covid, ho avuto la paura del covid da quando è iniziata la pandemia perché al telegiornale si parlava molto di questa malattia che durava molti giorni per chi veniva contagiato, per fortuna ora dura di meno ma io ho ancora paura.

In piena pandemia, durante il lockdown, sono stata da sola, mi annoiavo come quasi tutti, ma per fortuna che esistono i telefoni che mi hanno permesso di chattare con gli amici e giocare e il tempo passava più veloce.

Riguardo alla mia esperienza quelle amicizie false, io ne ho avuta una con una ragazza con cui ho “litigato”, si litigato tra virgolette perché lei non mi ha spiegato il motivo, ritengo la nostra amicizia falsa perché secondo me lei non teneva davvero a me.

Spero che tutte le mie paure che riguardano l’amicizia scompaiono perché voglio vivere senza paura di essere giudicata e di fare attenzione alle cose che devo o non devo fare.

Antonella Colucci
IC Sarnelli de Donato – Rodari Polignano

Le parole di Antonella

Le parole di Antonella mi hanno fatto molto riflettere, il suo obbiettivo è lo stesso mi: penso che le parole usate in un certo modo possano far male, anche molto.

Il giudizio altrui per me conta abbastanza, non so esattamente il motivo, ma ho sempre avuto questo timore di non essere accettata per qualunque cosa, magari per i gusti musicali, per il mio modo di vestire, per il mio carattere (non sempre perfetto), per le persone che seguo o che mi piacciono.

In realtà, però, non sono mai stata criticata e neanche insultata pesantemente, a volte qualcuno ha avuto qualcosa da ridire su di me, a qualche persona non piacciono i programmi che guardo o i cantanti che ascolto, ma ovviamente è sempre questione di gusti. Qualche volta, che io ricordi, c’è stato qualcosa di più pesante anche se è stato detto in modo scherzoso, in fondo ci rimanevo male ma spesso non ne parlavo, alla fine erano soltanto “prese in giro” fra amiche e amici ma capitava che esageravano scherzando su qualcosa di più serio.

Ora hanno smesso dopo aver capito che le parole, anche se dette per scherzare, possono ferire.

Non so perché, ma la pandemia mi ha cambiato parecchio sotto questo punto di vista, forse prima ero più menefreghista, in generale quasi su tutto, invece ora, sarà anche per la differenza di età da dieci a quasi tredici anni, è molto diverso.

La pandemia ha inciso sulle mie amicizie, sui miei rapporti, avevo smesso di parlare con le mie migliori amiche, e non vederle non migliorava la situazione.

Non uscivo più, passavo le giornate al telefono, non vedevo nessuno neanche i miei nonni, e, per la verità non lo ricordo certo come un bel periodo ma in realtà non ci facevo molto caso. Sotto sotto però questo periodo non mi ha cambiato in negativo anche se non sono stati dei bei mesi. I miei genitori non capivano molto il mio stato d’animo, ma allo stesso tempo non potevano farci nulla.

Nonostante tutto, ho recuperato le amicizie mandate all’aria, all’inizio della prima media; quando ho iniziato a farmi pensieri, appunto su come farmi accettare.

Sinceramente non so come sia possibile, dal momento che se ti fingi uguale agli altri, non starai bene con te stessa, e se provi a essere te stessa potresti avere dei problemi. Ma ci sarà qualcuno al mondo che ti accetti o ti capisca? Spero di sì.

Spesso, credo di riuscire a capire alcune persone che solitamente in qualcosa mi somigliano. Io mi metto nei panni degli altri (o comunque ci provo), ma in realtà non so se qualcuno lo fa con me, se riesce a immedesimarsi in me, a capirmi e capire le mie sensazioni o stati d’animo.

Forse qualcuno c’è, una persona in particolare che io capisco e comprendo pienamente mi è stata molto affianco negli ultimi anni e anche se non lo sa, la ringrazio molto, perché è bello essere capiti da qualcuno.

Marica Chiarella
IC Sarnelli de Donato – Rodari Polignano

Cara Prof.

Cara prof.,

ti dico già che questa sarà una lettera triste. Ormai ho sempre più paura. Non so neanche io di cosa.

Beh… in realtà sì:

ho paura di essere giudicata,

ho paura di non essere accettata

ho paura di perdere le amicizie e la fiducia per gli altri e degli altri

ho paura di rimanere da sola. 

La pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Non mi ricordo nemmeno più come è la faccia dei miei migliori amici. L’unica che mi ricordo è la mia, la mia faccia di m.

Scusami. È stata l’Israa insicura di sé a scriverlo, a volte prende il controllo.

Più volte ha detto cose sbagliate a persone sbagliate. Inoltre pensa cose orribili. Per esempio pensa che portare la mascherina per più di 1 anno è una bella cosa, perché copre la sua (mia) faccia.

Da quando ho avuto il covid non mi sento più al sicuro vicino alle persone.

Mi sento “Nudo con i Brividi” come direbbero Mahmoud e Blanco. Questa cosa, in realtà non è partita da quando ho avuto il covid, ma da quando è successo quel che è successo. 

Proprio mentre sto scrivendo questa lettera, un’altra persona sta scrivendo del suo passato alle elementari con un falso amico. 

Mi fa sentire meglio il fatto che non sono l’unica a stare così per una cosa del genere. 

Più passa il tempo, più mi fido meno delle persone. Ovviamente ci sono volte in cui nessuno ha giudicato. Ma purtroppo per una cosa brutta, le cose belle vengono offuscate. “Ora però è tutto bellissimo” direbbe l’altra Israa per non farsi scavare dentro.

Però ci sono anche buone notizie: ho scoperto di avere dei veri amici. 

Ho sempre pensato che mi odiassero per quella cosa che è successa con il gruppo di scienze. I miei amici mi amano veramente. Amano è un po’ eccessivo ma ci siamo capiti. Per rendermi felice e farmi uscire sarebbero disposti ad andare in luoghi che i miei conoscono e in orari accettabili da loro. Quanto li amo!

A proposito di uscire, i miei mi faranno uscire!

Non subito, ma come i dannati nel Purgatorio hanno la speranza di arrivare nel Paradiso, io ho la speranza di uscire.

TUTTO questo lo devo a te. GRAZIE. È l’unica cosa che mi viene da dirti. 

Spero per te una bellissima giornata.

UN BACIONE

Israa Ben Hassine
IC Sarnelli de Donato – Rodari Polignano

Quando sei piccolo

Quando sei piccolo, che tu vada all’asilo, alla scuola elementare o in altri posti in cui ci sono bambini; credi che conoscendolo di vista o parlandoci una o due volte sia già un tuo amico.

Quando ho iniziato l’asilo avevo due anni e mezzo; secondo me un bambino a quell’età crede che sia tutto normale, infatti il primo giorno d’asilo per me era ovvio andare a giocare con un bambino senza conoscerlo; mi ricordo come se fosse ieri che per conoscerci meglio, le maestre un giorno alla settimana ci facevano portare un gioco da casa che scambiavamo con quello di un altro bambino. Ricordo che un giorno (all’asilo) era suonata la campanella, io e una mia amica di nome Giorgia avevamo lo zaino identico e per errore prendemmo una lo zaino dell’altra, così io scoprì che le piacevano i cani a altre cose che non credevo le piacessero.

Questi primi tre anni di scuola passarono come il vento e arrivò il momento che non volevo arrivasse mai; dovevo andare alla scuola elementare. Il primo giorno di scuola, non mi piaceva per niente perché c’erano bambini provenienti da altri asili che io non conoscevo, anche se fortunatamente c’era Giorgia ed io e questi bambini diventammo subito amici.

Arrivai in quarta elementare e per qualche motivo la mia migliore amica cambiò diventando sempre più possessiva; in quel momento capì che se una persona vuole essere tua amica non ti costringe a fare ciò che vuole o a non fare amicizia con altri bambini, anzi il contrario; perciò anche se a lei non andava bene decisi di non essere più sua amica.

Conobbi un po’ di più un’altra bambina, Vanessa, la mia migliore amica che è esattamente il mio opposto; ci conoscevamo così bene che sembravamo quasi sorelle. Arrivò l’inizio della scuola media dove come alle elementari non c’era nessuno che conoscessi; eccetto Vanessa che fortunatamente era nella mia stessa classe.

Il primo anno feci amicizia solo con alcune ragazze, perché le altre non mi convincevano, ora che mi trovo in seconda, però ho fatto amicizia con tutti eccetto qualche ragazzo.

Io fino a quando avevo nove anni ero convintissima che l’amicizia fosse solo: due persone che hanno gli stessi interessi; ma ora che ho dodici anni so che la vera amicizia è: rispetto reciproco, fiducia, una spalla su cui piangere, una persona con cui ridere, per me l’amicizia è vita!

Francesca Carusi
IC Sarnelli de Donato – Rodari Polignano